venerdì 8 agosto 2008

In "ITALIA"

C’è un abisso di spessore fra le canzoni cantautorali che affrontavano il tema «Italia» e quel poco che sull’argomento (scottante) si ascolta oggi. I sacri cantautori ci andavano giù di penna sofferta e aggettivi calibrati, i loro epigoni più recenti hanno modi più spicci. Dell’argomento si è ripreso a parlare, sotto gli ombrelloni, dopo il minaccioso dito medio di Bossi (peraltro appena depenalizzato) contro Fratelli d’Italia e sull’onda di un brano che è cominciato a circolare su Radio Deejay, maliziosamente notato dal Riformista. Capita, non spesso, che una radio nazionale devii dal consueto percorso del mainstream: ma anche qui c’è una sofisticata promozione, stavolta di una piattaforma digitale acchiappatalenti che si chiama «Sounday» e ha lanciato Vivere in Italia: brano non modaiolo, che viene fatto risalire ai Sessanta, opera di un Nino Moroni che all’epoca emigrò in Australia e di cui si sarebbero perse le tracce; è invece attuale e assai carino l’arrangiamento, del nipote di costui David Florio, ragazzo dei nostri tempi.
La storia del pezzo è vaga, e pazienza. Ma colpisce la naïveté esplicativa del testo, che farebbe rabbrividire La Russa: «Mi trovo molto bene in Italia / È un paese che mi piace / C’è il sole c’è il mare / Trovi anche un po’ di pace / Se ti va di stare solo, o te ne puoi anche andare in giro nella notte»; seguono lodi ad acqua, pane vino e «C’è la frutta e verdura in tutte e quattro le stagioni». Ma tutto questo non basta all’autore per restare: «...addio non torno più / Il mondo e piccolo e io vorrei vedere / Un paese dove è lecito sperare».
Verso micidiale e antigovernativo ieri come oggi. Curiosamente, il mood evoca un Sergio Endrigo della stessa epoca, di cui si ricordano Zanetti&Bertoncelli nel loro interessante libro Avanti pop ’68. Il dolce paese cantava: «Io sono nato in un dolce paese / Dove chi sbaglia non paga le spese / Dove chi grida più forte ha ragione / Tanto c’è il sole e c’è il mare blu». E se come pubblicità progresso non era granché, consoliamoci: gli ultimi spot canzonettari sono pure peggio.
Caparezza in Vieni a ballare in Puglia sbotta: «Abbronzatura da paura con la diossina dell’Ilva / Qua ti vengono pois più rossi di Milva e dopo assomigli alla Pimpa»; pure Gianna Nannini dà botte da orbi duettando con Fabri Fibra In Italia: «...In Italia meglio non farsi operare... In Italia fai affari con la mala / In Italia il vicino che ti spara...». Tutt’altro spirito esprimevano a Sanremo 1996 Elio e le Storie Tese nella esilarante La terra dei Cachi: «Parcheggi abusivi, applausi abusivi / Villette abusive... Appalti truccati, trapianti truccati / Motorini truccati che scippano donne truccate». Un must ancor oggi insuperato, però la Sanità fa sempre la parte del leone: «Primario sì primario dai Primario Fantasma... Ti devo una pinza... ce l’ho nella panza».
Nella storia di queste canzoni per così dire patriottiche, il più buono è stato Toto Cutugno con L’italiano del lontano 1983: «Buongiorno Italia gli spaghetti al dente / e un partigiano come Presidente». Il più disperatamente pessimista, Franco Battiato con Povera Patria del ’91, in piena Tangentopoli: «Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni... Nel fango affonda lo stivale dei maiali / Me ne vergogno un poco, e mi fa male». Il più fantasioso e caustico, Giorgio Gaber in mille pezzi, fino all’ultimo album La mia generazione ha perso. Il più poetico, Francesco De Gregori che nel ‘79 chiudeva uno dei suoi brani più famosi con un emblematico «Viva l’Italia che resiste»: son passati trent’anni e siamo ancora lì.Povera ITALIA!...Ciao

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