giovedì 31 luglio 2008

Fabbrica d'imitazione

Il plagio, vero o presunto, di Lorenzo Cherubini è solo l’ultimo, eclatante esempio, in ordine cronologico, di un’antica arte che, almeno dai tempi di un certo Catullo (che riprese una breve e splendida ode di Saffo, limitandosi a proporla in versione maschile per il pubblico di Roma), è una delle espressioni più durevoli e sincere della cultura popolare e non solo: come diceva qualcuno, «i mediocri imitano, i geni copiano». Questo qualcuno era Picasso, la cui serie di «copiature» in stile cubista delle Meninas di Velázquez è considerata uno dei vertici assoluti della sua arte.
Ma lasciamo da parte i pittori e i poeti antichi e concentriamoci sul mondo del rock, evidentemente non povero di «geni», dove la parola plagio è sinonimo di My sweet Lord, primo successo post-beatlesiano del chitarrista George Harrison che nel ‘71 si scoprì essere molto, troppo simile a He’s so fine delle Chiffons, di otto anni più vecchia: nonostante i milioni di dischi venduti, il cantante di Liverpool, fortunatamente libero da problemi d’indigenza, non vide una sterlina. Stessa sorte toccò ai Verve, band inglese che nel ‘97, all’apice del successo, per Bitter sweet symphony fu accusata di aver plagiato nientemeno che The last time, successo dei Rolling Stones del ‘65: Allen Klein, manager delle Pietre Rotolanti noto nell’ambiente per la sua insaziabile fame di denaro, si accaparrò tutti i proventi delle vendite. C’è poi il caso, più sottile e «musicofilo», degli innumerevoli plagi dei Led Zeppelin, accusati da più parti di prendere di peso vecchi pezzi blues e di riproporli in salsa hard rock: per Whole lotta love, uno dei loro brani più celebri, ispirato a You need love di Willie Dixon, Page e Plant furono costretti ad apporre il nome del grande bluesman americano tra quelli degli autori del pezzo.
In tempi più recenti, gli avvistamenti di plagi veri o presunti si sono moltiplicati: basti pensare al celebre contenzioso tra Al Bano e Michael Jackson (in seguito al quale Jacko fu costretto a versare al cantante pugliese la somma strabiliante di 4 milioni di lire per avergli «rubato» I cigni di Balaka), alle polemiche che accompagnano l’uscita di quasi ogni nuova canzone di Zucchero (che si sarebbe «ispirato» a decine di artisti famosi quali Dire Straits, Queen o Deep Purple, ma anche a un signor nessuno come Michele Pecora) o a Dani California, uno degli ultimi successi dei Red Hot Chili Peppers, davvero troppo simile a Mary Jane’s last dance di Tom Petty.
Ma il caso più curioso, emerso recentemente dalle pagine di molti giornali, coinvolge nientemeno che Johann Pachelbel: il suo celeberrimo Canone, composto intorno al 1680, sarebbe alla base di decine di pezzi pop di artisti «insospettabili» come Beatles, Bob Marley e Brian Eno. Per approfondire l’inesauribile argomento plagio (come si suol dire: «le note sono solo sette») si consiglia di consultare il sito www.plagimusicali.net, interamente dedicato alla più geniale tra le arti.Bene amici da TORINO e tutto...per tutto il mese sarò a RICCIONE..mare e lavoro..arrivederci a settembre in the city..il blog funzionera' anche dal mare naturalmente piu' sporadicamente...CIAO!!

Accuse di plagio per JOVANOTTI

In Italia si chiama tormentone, in Spagna «la cancion del verano» (la canzone dell’estate), ma quest’anno le due cose rischiano di suonare uguali sulle note di un brano che sta facendo sognare i cuori più romantici: «A te», singolo di punta dell’ultimo album di Jovanotti, «Safari».
Un blogger del quotidiano spagnolo El Mundo rilancia il dubbio già emerso a marzo tra i più accorti fan del cantautore romano: la canzone è un plagio di «A la primera persona» del cantante madrileno Alejandro Sanz? Quico Alsedo, autore del blog «Sexo, Drogas y Rock & Blog» parla in modo spietato e senza ombra di dubbio di plagio e accusa la discografia di ritenere che le persone siano tutte ’tontos’ cercando di vendere loro «lo stesso cane con diversi collari», colorita metafora spagnola che rende l’idea.
Il nuovo brano di Jovanotti effettivamente assomiglia molto, nella melodia, a quello del collega spagnolo, vincitore nel 2004 di un Grammy Award per il miglior album pop latino, uscito nel 2006 con l’album «El tren de los momentos». Il blogger spagnolo ammette tuttavia di non aver compreso una parola del brano jovanottiano, ma ciò poco importa, sostiene, sempre di plagio si tratta.
Chi conosce bene l’italiano e mastica un pò di spagnolo potrà però riconoscere che il testo del cantautore italiano dimostra una profondità maggiore rispetto a quello di Sanz, che ripropone un cliché abbastanza trito: l’uomo piantato dall’amata perdippiù lasciato a piangere sul marciapiede tra i vestiti lanciati dalla finestra. Quello di Jovanotti è un inno all’amore. Ma le parole non hanno vinto sulla musica e per quest’anno uno dei tormentoni italiani, non sarà un caso, non è approdato in Spagna.

mercoledì 30 luglio 2008

RISVEGLI...

Aspetto tutto il giorno che la notte sia matura, quando sia aprono i portoni del silenzio, e per magia tutti i sogni iniziano a parlare.
Mentre i desideri prendono forma lasciando cadere per qualche ora le vesti di fantasmi, sconfinando nella libertà più totale limitandosi di non varcare in quella altrui.
Anime che volano come se si fossero liberati dalle catene dell'eternità, e tutti sembrano fantasmi mentre le finestre diventano occhi spenti che dormono nel silenzio piu' totale, nella attesa che si aprono i portoni dei palazzi e il sole cuoce le aiuole dei giardini allagando invadente le stanze di tutto il mondo.

martedì 29 luglio 2008

Vecchie Glorie

E’ magica la notte di Leonard Cohen, guru della musica sbucato dal mare di un silenzio prolungato alla rispettabile età di 73 anni (che a settembre saranno 74). Sarà quella voce che sembra venire dal profondo, sarà l’imperturbabilità compiaciuta della propria lentezza, mentre si specchia in un’eleganza fatta di pochi tocchi, di sussurri, di suoni centellinati, puri come cristalli. Ci vuole davvero un maestro per un autocontrollo così sublime. Ci vuole, forse, un’astinenza così lunga (quindici anni) per arrivare a tanta, assoluta sobrietà. E ci vuole un lungo allenamento spirituale (il prolungato ritiro in convento) per incantare a tal punto, per trovare simile equilibrio. Tre ore di musica leggera e potente, schiaffo esemplare a tanti inutili schiamazzi, a tanti finti spettacoli di luci e suoni. Il guru è un oggetto non identificabile, un intervallo sospeso nel tempo della musica che corre, con il suo elogio della lentezza e quella voce così calda e così terrena che trasmette la sicurezza che viene dalla certezza delle idee.
Eccolo, allora, di nuovo in pista, mentre sussurra le sue canzoni per tre ore filate. Canta, si inginocchia, saltella quando esce di scena e quando rientra, c’è anche una ironia sottile quando dice, fermando la musica: «Ho trovato la chiave dopo tanto cercare nella filosofia e nella religione, volete sapere la risposta che mi si è rivelata? Eccola». E il coro intona «du dan dan da, du du dan dan» epica chiusura di Tower of song, uno dei gioielli del suo repertorio. E chissà che, con quel piccolo gioco, il guru non voglia far capire di aver ritrovato fino in fondo il gusto di far musica. Sorride Cohen, svelando il suo volto affilato solo quando alla fine di ogni pezzo si leva il cappello per ringraziare dell’accoglienza che riceve la sua preziosa mercanzia musicale. La piazza di Lucca è piena zeppa (e ricca di ospiti, perfino Beppe Grillo è stato rabbonito da tanta clamorosa bellezza) per quest’ultima suntuosa puntata del Summer festival di D’Alessandro & Galli e si lascia stregare da quell’incantatore (che ieri sera ha ripetuto la sua funzione nella Cavea dell’Auditorium romano e il 23 ottobre tornerà per esibirsi a Milano). Un rito che prende il via dalle note della deliziosa Dance to the end of love, dove la voce baritonale si impasta in un arrangiamento sottilmente klezmer.
L’orchestra sfodera un accompagnamento impercettibile: la batteria che usa soprattutto le spazzole, l’organo hammond che aggiunge brevi tocchi sanguigni, il fantastico chitarrista spagnolo, Javier Mas che esibisce con discrezione una vera collezione di mandole e chitarre spagnole, il formidabile multistrumentista, Dino Soldo, che passa dal sax al clarino all’armonica all’Ewi (uno strumento a fiato elettronico), il bassista Roscoe Beck, che è il caporchestra, e le tre coriste guidate da Shannon Robinson, collaboratrice fidata dell’ultimo Cohen. Ecco The future, ballata rock storica (era in Natural born killers di Oliver Stone) che canta: «Ho visto il futuro ed è solo delitti». Ecco Bird on the wire, Everybody knows, quasi un mantra con il verso che dà il titolo ripetuto all’infinito, Who by fire che offre un assolo di chitarra. Ecco il capolavoro Suzanne, condita al minimo: chitarra e piccoli accenni del coro e un bass clarinet. Trova spazio la brava Shannon Robinson in Boogie street, mentre Halleluja ha il sapore di una preghiera soul condita dall’Hammond, con Cohen che si inginocchia. C’è ancora spazio per Democracy, per So long Marianne, per la potente First we take Manhattan, per Sister of mercy. Vorrà dire che un giorno bisognerà ringraziare l’ex manager che gli ha ripulito i conti bancari, spingendolo di nuovo nella mischia.

lunedì 28 luglio 2008

MANU CHAO.....a GENOVA

L’emergenza immigrazione? «Sono altre le persone che minano la sicurezza del nostro Paese, il primo è Bush», dice dal palco e, quando sale l’amico don Andrea Gallo, il prete di strada, gridano insieme «Io sono clandestino!», scatenando l’entusiasmo dei 10 mila accorsi sabato al Goa Boa Festival per la prima delle uniche due date italiane del francese di origini galiziane Josè Manuel Thomas Arthur Chao, ovvero Manu Chao. Più tardi, alle 4 del mattino, dopo due ore di travolgente concerto, spiega: «La chiusura non è mai la soluzione, anche perché più ci si chiude, più la popolazione diventa vecchia e non ci si sviluppa, non può andare avanti». Con il «Tombola Tour» l’artista della musica globale contro le guerre è tornato in concerto a Genova sette anni dopo il G8, che lo aveva visto simbolo e portavoce internazionale dei giovani arrivati a Genova. Un ritorno in occasione del decennale del Festival che ha aderito alla campagna nazionale per il 60esimo anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti umani. «Lo diciamo a Manu Chao, si sfogavano i ragazzi picchiati dalla polizia», ha raccontato Nando Dalla Chiesa presentando la campagna a Genova.
«In realtà sono già tornato altre volte, a trovare gli amici come don Gallo», spiega Manu Chao. Per lui, «il G8 è una cicatrice. Ho già parlato tanto, ho già detto quello che penso, non ho voglia di ricordarlo ancora. So del processo, non conosco i particolari ma il fatto che ci si sia arrivati è già un successo. Però quello che conta alla fine è che Carlo è morto e questa è a cicatrice che resta». La morte di Giuliani «non ha nessun senso, non c’è alcuna spiegazione».
Da Clandestino a La Radiolina, Chao è rimasto lo stesso: imprevedibile, incontrollabile, istintivo. Nella musica e nella vita. Così, nel backstage alla Fiera di Genova, rinvia di ora in ora l’incontro con i giornalisti. «Arriva per le prove a mezzogiorno» dicono. In realtà si fanno le 17. Intanto il quarantaseienne eterno ragazzo si sdraia sul pavimento e dorme. «Non ho nulla da dire - fa sapere intorno alle 18 - Preferirei che mi intervistassero dopo aver visto il concerto». Che è previsto in chiusura della serata, ovvero a mezzanotte e 40. «Non ha nemmeno fatto la promozione dell’album quando è uscito», spiega il manager. Senza promozione, senza interviste, Chao è comunque un fenomeno mondiale, ancora capace di sparire per andare a suonare in piazza per gli amici. Per lui conta solo la musica. «Non capisco quelle band che si prendono un anno di pausa - dice -. È impossibile non scrivere. Sono schiavo dell’ispirazione: scrivo sempre, poi magari perdo i fogli». È vero che dalle cose più brutte nascono le canzoni più belle? «Forse, ma essere positivo è la migliore medicina che hai nella vita, è come una religione, la positività ti fa sentire bene». E questo per lui è «un periodo fantastico, perché con la band siamo nella forma migliore. Non abbiamo mai suonato così bene».Alla prox..Ciao

domenica 27 luglio 2008

LORENZO(jova)canta il GABER

Un’oasi di civiltà musicale, un appuntamento imperdibile per gli artisti chiamati in causa dalla Fondazione Gaber e dalla famiglia, per tornare a proporre il repertorio di Giorgio adesso che lui non c’è più, ma è come se continuasse a guardare con occhio sorridente eppure severo il povero mondo della canzone popolare: il quale, tenuto in piedi da ormai pochi eroi - e deturpato da una crescente masnada di nullafacenti però con la faccia da telecamera - attraversa un bel momento di buio. La quarta edizione del Festival Teatro Canzone Giorgio Gaber è decollata invece al sole di ieri in un’amabile atmosfera rallegrata dal cortese presentatore della kermesse notturna alla Cittadella del Carnevale, Enzo Iachetti, e da una sua piccola band familiare, che ha dedicato per esempio a Jovanotti, sulla musica di Mamma, una Jova in versione di saltellante 78 giri. Sorrisi, timidezze, sprazzi di discorsi serissimi come quello del cantautor/professore di musica napoletano, Antonio Del Gaudio, che concorreva (come Flavio Pirini) al Premio Gaber, e lamentava il mancato insegnamento di questa storia nelle scuole medie, confessando che alcuni allievi non hanno mai sentito nominare Fabrizio De André. Andiamo bene.
Il cast è come sempre vario: ieri Mietta, per cui si fa tutti il tifo (e trovi un repertorio giusto, brava così, no?) reduce dall’attacco di un piccione durante le prove; il nobile Roberto Cacciapaglia; il classico e signorilissimo Massimo Ranieri che adora Lo shampoo; l’inquieto e tormentato Gianluca Grignani, che ha affrontato Il conformista sostituendo la parola gaberiana «cattocomunista» con il neologismo «berlusconista», e si è poi coraggiosamente lanciato nel recitarcantando del Filosofo Overground. Ma è inutile negare che l’occhio collettivo cercava soprattutto Jovanotti, il cui momento artistico è vivace e coronato dal successo: non solo il suo bel tour in corso sul disco Safari sarà prolungato a richiesta fino a Natale, ma confessa di esser pure baciato dall’ispirazione: «Quando ho compiuto 40 anni, mi è sembrato di essere appena nato, sono in evoluzione continua. Ora ho dato una canzone a Celentano, per il nuovo disco. Non dico il titolo neanche sotto tortura, però a lui piace moltissimo il testo, ma non la musica; e già ad Aria aveva cambiato le parole...». Il secondo bacio glielo darà, il 6 settembre, la compagna di 15 anni Francesca, quando si sposeranno a Cortona: «Lo faccio per la mia mamma - spiega - ma sarà una cosa privatissima, in famiglia. Se sentite parlare di esclusive concesse, sono tutte palle». Già, mica sono Brad e Angelina, loro.
Fatti i debiti distinguo di genere ed epoca, il percorso di Jovanotti somiglia in fondo un po’ a quello di Gaber. Entrambi hanno cominciato con un repertorio disinvolto e leggero, e sono poi approdati a tematiche impegnative, cogliendo con queste lo zeitgeist, lo spirito del tempo. E’ teatro/canzone dei nostri tempi il Safari Live, Jovanotti stesso dice che la concatenazione dei titoli non è cambiabile: i led luminosi oggi, un tempo - a illuminare la figura elegante di Gaber - il famoso faro. Da quel faro lui confessa di esser molto attratto («Chissà, un giorno...») ma pure si schemisce rispetto ai paragoni: «La sola idea di accostarmi a Gaber mi imbarazza. Sono meno rigoroso, più casinista, io. Lo sento come uno dei grandissimi, mi attira la sua capacità di far scelte, mi colpisce un artista che diventa scuro mantenendo una forte simpatia». Insomma, «Era uno che non se la tirava pur essendo un intellettuale. Aveva testi dolorosi ma un corpo simpatico, una miscela di disperazione gioiosa. E poi, una canzone come Se io fossi Dio: per un artista, scegliere di dire quelle cose lì è un costo».
Si è preparato un mese per arrivare qui. Non una ma sette canzoni gaberiane, ieri sera, sono state ripercorse a modo suo: in duetto con Grignani, ha affrontato Non insegnate ai bambini, e poi è partito su Quando sarò capace di amare, Chiedo scusa se parlo di Maria («Si potrebbe sostituire il Vietnam e la Cambogia con Afghanistan e Iran, e sarebbe di oggi»), Non arrossire, Si può («Mi veniva da aggiungere mille strofe»), Com’è bella la città («che ascoltavo da bambino in tv: la memoria musicale non te la da l’adolescenza, ma l’infanzia, le canzoni dei tuoi genitori...»), infine Mi fa male il mondo che ha avuto un trattamento assai curioso, come lui spiega: «Mi sono accorta che è il negativo fotografico dell’Ombelico del mondo, e così l’ho preparata con la musica dell’Ombelico». Ma dice anche: «Si potrebbe fare uno show collettivo su Gaber, sarebbe interessante capire come sarebbe, con altri corpi e altre voci». Hai visto mai......Ciao!

venerdì 25 luglio 2008

Ancora e sempre...."LIGABUE"

Certe notti, per dirla alla Ligabue, sono come quelli della sera del 19 luglio all’Olimpico: stare allo stadio con decine di migliaia di fans che ti osannano. Due ore di musica, una sorta di festa, di autocelebrazione che fa il paio con un disco che mette insieme anni di successi (la raccolta Secondo tempo contiene gli hit che vanno dal ’97 al 2005).
Una sorta di racconto autobiografico, un punto e a capo artistico (alla chiusura di questo viaggio che prevede un’ultima scorribanda all’Arena di Verona dal 25 settembre, Luciano si ripromette un riposo prolungato) in attesa di un prossimo futuro album (non prima del 2010). E, allora, spazio ai ricordi con l’aggiunta dei tre inediti che accompagnano il best (Il centro del mondo, Il mio pensiero e Ho ancora la forza, scritta con un altro emiliano, ”zio Guccini” come lo chiama Luciano) e di qualche scampolo di Primo tempo, l’antologia che ha raccolto la parte iniziale della sua carriera.
Se è inevitabile aprire proprio da Certe notti (annata ’95, album Buon compleanno Elvis), la chiusura è suggerita dal tour invernale e da una canzone che sembra fatta apposta per spegenere luci e amplificazione, Buonanotte all’Italia, una sorta di epitaffio sulla nazione, dove parole e musica sono accompagnate da una sfilata di immagini che appartengono alla nostra storia da Falcone e Borsellino a Fabrizio De André e Giorgio Gaber (ma dal montaggio, già utilizzato nei concerti del ”primo tempo”, è sparito Lucio Battisti perché la vedova, Maria Grazia, affetta da una sorta di furore, vieta a tutti e a tutto il permesso di utilizzare il marito). Un richiamo che fa il paio coi primi dieci articoli della Costituzione proiettati (e apllauditi dal pubblico) sul mega schermo da 300 metri quadrati («servono a far pensare la gente» dice l’artista) mentre suonano le note di Non è tempo per noi. Ligabue lo sa, un concerto quando diventa un raduno non è fatto di sola musica: il pubblico cerca l’identificazione, l’artista regala gli agganci parlando della sua musica ma anche delle cose del mondo. Ecco, allora, i riferimenti evidenti all’ecologia con le pale eoliche e le cisterne assieme a un messaggio di ottimismo implicito in quel palco che sembra una rampa di lancio («verso il futuro»).
Luciano si presenta dopo aver dato spazio a una serie di band giovani (fra cui gli ottimi Greenwhich), sfoderando subito l’energia maschia di una band gagliarda e ben organizzata (con la chitarra di Federico Poggipollini in evidenza e un nuovo robusto batterista a dare la spinta giusta, l’americano Michael Urbano), capace di dare forza e dinamica a un repertorio che, se ha un difetto, è quello di assomigliarsi parecchio. Sfilano classici come A che ora è la fine del mondo?, Il giorno dei giorni, Libera nos a malo, Balliamo sul mondo (con tutti i 60 mila dello stadio a ballare). Per ogni pezzo c’è una storia visiva, dalle citazione di Radiofreccia, al fido Maioli che, come da consuetudine, sbuca in una clip dove balla I feel good di James Brown....Ciao!!

giovedì 24 luglio 2008

ANIMA




Anima distratta
che non si vergogna a volte di essere un po' matta
anima austera
che cerca di non essere troppo severa
anima trasparente
che prova ad essere sempre coerente
anima testarda
che non ama essere bugiarda
anima piena
che sorride appena
anima arrogante
che diventa tutto d'un tratto tremendamente distante
anima dalla forte armatura
che tenta di difendersi da ogni bruciatura
anma fragile
a volte così instabile che odia essere vulnerabile
anma in cerca di un sussulto
che invece riceve soltanto un insulto
anma tenace
che non si vergogna di essere audace
anima artefice
che si spaventa di essere sua stessa carnefice
anima che odia la rottura
per non essere sottoposta ad una nuova tortura
anima che vede uno spiraglio
e invece si ritrova sempre dinanzi ad un abbaglio
anima in preda alla pazzia
che frena difficilmente la sua gelosia
anima delicata come il vetro
che nasconde a tutti il suo lato tetro
anima su quell'altalena
non cantare a tutti la stessa cantilena.

Il ritorno dei METALLICA

Quello del rock pesante è un mondo a parte dove un gruppo-simbolo, gli americani Metallica, può permettersi di suonare dal vivo senza mettere in scaletta neanche un brano del nuovo disco, Death Magnetic, in uscita a settembre. A Bologna sono venuti a sentirli in 25 mila all’Arena Parco Nord per il loro unico concerto italiano: due ore di metal a tutti decibel, sudore e polvere con una breve coda di incidenti per il tentativo non riuscito di una cinquantina di fan di sfondare all’ingresso. L’apertura dello show, come vuole da sempre la tradizione Metallica, spetta alla musica de Il buono, il brutto e il cattivo di Morricone, che di Lars Ulrich e compagni è un estimatore perché li trova potenti e melodici insieme. Il cantante e chitarrista James Hetfield incassa il complimento con un sorriso a 32 denti e si schermisce: «Noi però non potremmo realizzare la colonna sonora di un film, la nostra musica è troppo violenta».
Death Magnetic, prodotto da un vecchio leone delle sale d’incisione come Rick Rubin, rappresenta una ripartenza dopo l’interlocutorio St. Anger: «Quel disco ha chiuso un capitolo per la nostra band – aggiunge Hetfield – poi è arrivato un nuovo bassista, Robert Trujillo, il nuovo produttore Rick Rubin e abbiamo ritrovato la nostra essenza. È difficile per ora spiegare l’idea centrale e il suono del nuovo album, siamo ancora troppo vicini». Il batterista Ulrich si unisce al compagno d’armi – insieme nei Metallica dall’81 – nel giudizio sul ruolo di Internet per la musica: «Sul download illegale dico che non mi piace la gente che ruba, per il resto la rete è fantastica e noi abbiamo il miglior sito web da cui si può scaricare la nostra musica, ma secondo le regole». Il tempo di definire «veramente cool» l’abbinamento fra musica e videogiochi di Guitar Hero e per i Metallica è quasi ora di salire sul palco. Pur con quasi trent’anni di metallo pesante sul groppone continuano a martellare il loro pubblico con energia muscolare e virtuosismi elettrici. Brani storici e adrenalinici come Ride the lightning, And justice for all e Master of puppets si alternano a una ballatona come Nothing else matters, che ai suoi tempi fece storcere il naso ai fan duri e puri e ora viene accolta con un’ovazione e accendini a distesa...c'e da credergli...Ciao!

mercoledì 23 luglio 2008

Grandi "REM"...fra musica e politica...ANDYV a Riccione

Una festa di folla così a Umbriajazz non si vedeva da tempo. E per uno storico festival di jazz che chiude a tempo di rock, l’indicazione rischia di essere anche chiara per quanto riguarda il futuro: insistere sulla mescolanza dei generi, scegliendo per quanto è possibile la linea della qualità e il prestigio.
E i Rem hanno sia prestigio che qualità. Gruppo rigoroso, perfino spartano nelle sue scelte musicali, un rock incalzante ed essenziale che non fa sconti, un frontman, Michael Stipe che ci sa fare, si fa forte della sua assoluta padronanza scenica (in vestito bianco assolutamente classico), della sua gestualità insistita che lo fa sembrare un gigante sul palco anche se è un uomo decisamente minuto, e di quella voce graffiante che è il sound della band americana.
Erano almeno dodicimila all’Arena di Santa Giuliana ad ascoltare il concerto di chiusura del festival (più parecchia altra gente disseminata tutt’intorno allo stadio) e il debutto italiano per il breve tour dei Rem (cinque date con chiusura il 26 a Milano): due ore secche di spettacolo, basato in grand parte sul materiale dell’ultimo album della band, Accelerate, che è insieme un viaggio nell’essenzialità della musica (non è detto che non faccia bene in tanto spreco di effetti speciali a cui l’industria dei concerti si va dedicando) con spazio anche per alcune tirate politiche assolutamente esplicite, veri e propri proclami contro l’amministrazione Bush (che Stipe non esista a definire «tremenda» come va facendo da tempo).
Insomma, è un concerto che va dritto alla scopo senza fare sconti e che concede solo una spettacolarità nella ricercata grafica delle immagini proiettate sugli schermi alle spalle del gruppo.
La musica mette in fila il repertorio di un disco buono, ma che se ha un difetto è quello di essere anche emotivamente troppo asciutto: ecco così brani come Living well is the best revenge, Hollow man, Houston, Man sized wreath, Horse to water, Supernatural superserious, che si rincorrono in una scansione ritmica che non concede variazioni.
Comunque c’è spazio anche per i brani storici, quelli che hanno fatto la carriera di questa band georgiana, hit come Losing my religion (che resta il pezzo migliore), Get up, Night swimming, The one I live, Imitation of life, Drive, What's the frequency Kenneth. Stipe domina, ma i suoi compagni lo seguono con forza e pulizia, Peter Buck con la sua chitarra, Mike Mills con il suo basso, i sidemen Bill Rieflin alla batteria e l'altro chitarrista Scott McCaughey, perfettamente funzionali e in linea con storia estetica di un gruppo che è riuscito a rimanere fedele a se stesso in ventotto anni di storia musicale in prima linea.In riguardo a me stesso una parentesi della mia vita e legata anche ha loro di fatti era il 1993 quando un gruppo STATUNITENSE della GEORGIA(REM)ma gia' molto affermato in ambito mondiale con altri album,usci' con pezzo musicale"EVERYBODY HURTS"e con questo pezzo ho incominciato ha subir una svolta piu' ampia...tutti hanno un proprio pezzo con cui ricordarsi dei loro affetti...successi e altro,chiaramente io ne ho piu' di uno...ma ho scelto uno di questi che mi accompagna da anni cioe' i REM proprio per far capire che la strada anche se lunga perpetua e tumultuosa e piena di ostacoli c'e' sempre una risp ha tutti i perche'....e ad ogni sconfitta c'e sempre una doppia vittoria...e questo pezzo e stato uno delle mie ripartenze che mi ha portato al traguardo...dove ora sono realizzato artisticamente...ma si sa' una volta arrivati all'obbiettivo ti poni sempre un'altro traguardo...quello che raggiungero' sempre!!AndyV vi saluta....e dal mese di agosto sara' situato per un mese nella bella RICCIONE...ove ho tanti collaboratori e amici...e siccome a Settembre si inaugura il mio nuovo studio di BOLOGNA...i km sono piu' vicini...e il personale che lavorera' con me sara' in parte ROMAGNOLO...quindi la presenza per scegliere sara'piu' costante del solito..bene arriverci a settembre in the city e il blog sara' sempre regolare da RICCIONE...e...it's THE FINAL COUNTDOWN...CIAO!

martedì 22 luglio 2008

NUOVI TALENTI..ma come palco solo la TV!!!

L’estate 2008 sarà ricordata come quella dei nuovi talenti musicali nati in tv, da Giusy Ferreri a Marco Carta. Il Festival di Sanremo stenta a lanciare nuove voci ma programmi come X Factor e Amici smentiscono il luogo comune secondo cui «la musica non funziona in tv». Giusy Ferreri, la 29enne commessa part-time, dopo aver spodestato qualche settimana fa Madonna dal vertice della chart dei brani più scaricati online, col suo album di debutto è stabilmente in testa alla classifica dei cd più venduti. Non ti scordar di me, con oltre 70 mila copie, è già disco di platino e, grazie anche alla collaborazione di Tiziano Ferro, ha scalzato dal vertice nomi come i Coldplay, Ligabue e Jovanotti. Non è da meno il cagliaritano Marco Carta, vincitore di Amici di Maria De Filippi: diventato subito il beniamino delle teenager, a una settimana dal debutto discografico ha conquistato il disco d’oro con Ti rincontrerò, settimo in classifica.
In un momento di crisi, le case discografiche hanno finalmente deciso di rischiare. E così sfornano cd di altri concorrenti di X Factor e Amici. La prima è stata Ilaria, la brunetta made in Cagliari. Occhi da cerbiatto e tempra d’acciaio, ha esordito a fine giugno con Suono naturale, nove brani inediti e le tre cover che le hanno regalato la popolarità al talent show di Raidue: Oceano , Snow in the Sahara di Anggun e I don’t know di Noa. Nel 2004 Ilaria aveva vinto Castrocaro, ma pochi se ne erano accorti. C’è voluta la benedizione di Simona Ventura per essere riconosciuta artista a tutti gli effetti. «Sono stata molto fortunata - racconta - ma anche tenace e non ho mai mollato. Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il mio momento e quando mi hanno preso per la trasmissione tv ho pensato che avrei dovuto dare tutto» .
Anche i vincitori del programma, i salentini Aram Quartet, dopo essersi esibiti al Blue Note di Milano, un mese fa sono usciti con ChiARAMente, album di cover completamente reinventate. Ora sono in tour e in autunno cominceranno a lavorare al loro primo album di inediti. Sono stati addirittura invitati a Umbria Jazz (hanno aperto il concerto di Mario Biondi) i Cluster, talentuoso e ironico gruppo a cappella tutto genovese che ha esordito con Enjoy the silence, album ispirato alla cover del brano dei Depeche Mode, che avevano proposto con successo a X Factor. Al telefono parliamo con Erik Bosio, il baritono dei cinque, che insieme a Letizia Pollini, Liwen Mignatta, Nicolas Santos e Luca Moretti dal 2004 ha dato vita al progetto Cluster. «X Factor - dice - è stato per noi fondamentale. Nel 2006 con il cd Cement avevamo già ottenuto 3 nomination ai CARA (Contemporary Acappella Recording Awards). Eravamo coscienti del fatto che in Italia ci fossero delle persone che ci volevano bene; mancava solo il contratto con una major per lavorare bene. Ora è arrivato. Adesso facciamo quello che ci piace di più».Cmq c'e' tanto da lavorare sui talenti...e tanto da scoprire...che le grandi MAJOR non si cimentino nel dar la possibilita' solo a quelli che vanno in TV ma che diano la possibilita' anche hai ragazzi che fanno le processioni nel portar materiale avanti e indietro nelle sale discografiche e che approdano con concorsi e prove nelle cantine...mi auguro questo!!!!Ciao

lunedì 21 luglio 2008

Apoteosi "DURAN DURAN"...tra ricordi e nostalgia

ROMA....17 LUGLIO....IO C'ERO... Era il tempo delle spalline extra-large, dei fiocchi sulle Superga colorate e dei jeans 501 calati. Il sacco dell'Invicta serviva per traghettare gli slogan del momento (Free Nelson Mandela, Dire, fare, baciare) . Dentro il walkman e le cassette con il nastro che riannodavi, per non far consumare le batterie, infilando una penna al centro, volteggiandola. Alla tv si guardava Drive In e Red Ronnie. In classe si faceva la lotta. C'erà già il bullismo, certo, ma era quello tra bande musicali. C'era chi tifava Spandau Ballet e chi Duran Duran. Lo scontro era aspro, inconciliabile. Amavi (“per tutta la vita”, a quei tempi ancora si diceva ancora) o Tony Hadley o Simon Le Bon. O Martin Kemp o John Taylor. Quando qualcuno di loro si sposava c'era il lutto in classe. Qualcuno pianse per il matrimonio di John Taylor. Qualcuno gridava: «Simon non sposarti!». La stessa frase che è stata gridata al Roma Rock Festival. Un vero e proprio tormentone cavalcato ironicamente, sin da verso le 21 mentre si aspettava l'inizio del concerto dei Duran Duran.
Le seimila presenze alle Capannelle parlano di una generazione di trentenni e oltre che ha deciso di entrare nella macchina del Tempo. Francesca Aliberti, 34 anni, col pancione da futura mamma, torna quattordicenne mentre si scatena su Hungry Like the Wolf. A sorreggerla il marito, Alberto, coetaneo, che negli anni Ottanta preferiva gli Spandau, «e – racconta – se fossero venuti loro in concerto, mia moglie mi avrebbe comunque accompagnato, anche se a quei tempi se ci fossimo conosciuti saremmo stati rivali». Braccia in altro, insieme ai cellulari, «quelli che ai tempi nostri non c'erano - spiega Francesca - altrimenti sai quanti video avremmo fatto!».
La formazione è quella storica: Simon Le Bon, John Taylor, Nick Rhodes e Roger Taylor. Vuoto per Andy Taylor, che ha lasciato la band. Con loro Down Brown (chitarra), Anna Ross (vocalist) e Simon Willescroft (saxofono). Erano gli anni Ottanta quando la band inglese conquistava un'intera generazione. Dall'album di debutto, pubblicato nel febbraio del 1981, alla loro ultima fatica, numero 12, il sound dei Duran Duran è sicuramente cambiato. Si inizia con The Valley, singolo dell'ultimo album dei Duran Duran Red Carpet Massacre, scritto e registrato dalla band con i produttori Timbaland e Nate ‘Danja’ Hills, insieme al re del pop, Justin Timberlake. Poi Nite-Runner , Red Carpet Massacre, Falling Down, Skin divers e Tempted.
La macchina del Tempo si apre. E poi quella domanda che fa scoppiare Capannelle: «Are you hungry?» chiede Simon. Le note di Hungry Like the Wolf, il quinto singolo dei Duran Duran anno 1982, il primo gancio con il passato. Qualcuno grida “no...no”, una cantilena, una richiesta che si trasforma nella mitica Notorius. Altra macchina del Tempo con Girls on Film, Ordinary World, Sunrise, Save a prayer. E poi tutti scatenati su Wild Boys. Simon Le Bon non delude. Strizza l'occhio al pubblico, saluta Roma, improvvisa balletti e giravolta e salta, mentre qualcuno è in ansia: «Oddio! Pensa se si rompe la gamba come quella volta.... », proprio come veniva raccontatio nel film "Sposerò Simon Le Bon". Tutti tornati 14enni davanti a Simon, John, Nick e Rogers. Via i pensieri, il lavoro, il mutuo. «Questa notte mi sognerò di nuovo la maturità... troppa full immersion negli anni Ottanta» racconta Marco Iannelli, 35 anni.
Rio e il pp-po-po-po. I Duran Duran fanno una pausa. Il pubblico scalpita e parte l'inno dei mondiali, il po-po-po-po che diverte i Duran Duran. Tanto che prima di ricominciare il concerto suonano e cantano po-po-po. Anche l'ultima canzone, Rio, alla fine viene mixata con po-po-po.
Storie da Guiness. E' il momento dei saluti. Chi corre a comprarsi l'ennesima maglietta dei Duran, chi si ritrova dopo le due ore del concerto. Come Federica e Stefano. Una storia, la loro, degna da Guiness dei primati. Federica, oggi 32 anni, impiegata, conosce Stefano, oggi 37, geometra, al concerto del Flaminio degli amati Duran Duran. Lei non riusciva a vedere Simon, così Stefano la prende in braccio. Si chiambiano i numeri di telefono, si sentono per qualche mese. Poi nessun contatto. Fino al 2001, quando Federica sdraiata sul letto di un ospedale conosce la sua compagna di stanza, una signora che le confida che anche il figlio ha la sua stessa passione: Simon e John. Federica e Stefano si ri-conoscono. Si presentano, non si ricordano di quella volta al Flaminio. Solo dopo qualche mese Stefano troverà un vecchissimo bigliettino sul quale aveva appuntanto nome e cognome di quella ragazza conosciuta al Flaminio. E ieri, Federica e Stefano si sono rincontrati. «I Duran mi ricordano la spensieratezza di quei tempi» racconta Federica che indossa gli stessi jeans degli anni Ottanta. Sui lati la mappa dei concerti visti in tutti questi anni. Con lei Serena, 35, fan dei Duran Duran e oggi mamma che si definisce “amica di penna” di Federica. «Abitavamo nello quartiere – spiega – e ci scrivevamo lettere, non c'erano i cellulari, ci piaceva così...». Emozioni, ricordi. Come quando quella volta Federica si è fatta regalare per i suoi 18 anni 3 settimane a Londra, una passata sotto casa di Simon. Stefano conserva ancora la penna con la quale il cantante dei Duran gli fece un autografo. «Ho inseguito Simon e la moglie mentre andava a fare una visita dal ginecologo...più pazza di così...» racconta Serena.
Le convention. Tra i trentenni c'era anche Marco, di Chieti Scalo, uno degli organizzatori delle convention dedicate al gruppo. «Dal 2001 - racconta - organizziamo incontri con proiezioni video, mercatini, concerto di cover-band, partecipano oltre 1500 persone. Stiamo organizzando il raduno del 2008». Per ora c'è solo il sito del 2003, come nella tradizione degli anni Ottanta, quando il web ancora non c'era. Ci si conosce e il tam tam corre.
Tra penne e web. Molti ieri hanno portato gli autografi fatti negli anni Ottanta dal gruppo. Altri ringraziano il web e si vantano perché sono diventati finalmente “amici” di Simon. Almeno suMyspace e sullo spazio che i Duran Duran hanno creato.
Fino all'ultimo, indietro nel tempo. Tutti a casa, i saluti. E saluta anche il palco dal quale escono le note delle “prove tecniche”, quelle che uscivano dalla televisione, quella grossa, senza telecomando. Quella di un altro tempo. Il tempo dei ricordi incastonati negli anni dell'adolescenza, quando Simon Le Bon, Tony Hadley, Boy George e i Curiosity Killed the Cat erano dei miti.
Quando erano gli anni Ottanta, quelli che oggi spopolano sul web, con il tormentone "noi che..." , un una lunga lista di ricordi che ognuno può allungare con i suoi pensieri...CIAO!

domenica 20 luglio 2008

HIP HOP...Nuova frontiera

E’esploso nel 2006, il nuovo rap italiano, ma solo quest’anno è diventato davvero mainstream. Da una parte, Fabri Fibra che collabora con Gianna Nannini per «In Italia», dall’altra Marracash che entra nelle classifiche con «Badabum Cha Cha» e spopola su Mtv con un ironico video girato nella periferia milanese. Mondo Marcio, uno dei primi ad emergere, però, non ci sta e pubblica a sorpresa un mixtape con un’etichetta indipendente, con disappunto della Emi, la multinazionale per cui incide.
Ancora in lista d'attesa, poi, i napoletani Co’ Sang’, durissimi e politicizzati, poetici e sempre un po’ sopra le righe: sono però un fenomeno di nicchia, e nemmeno la sponsorizzazione di Roberto Saviano è riuscita a far vendere più di tanto l’ottimo disco d'esordio, «Chi more pe’ mme».
Verrà anche il loro momento e i 99 Posse avranno finalmente i loro successori. O forse no, perché la seconda ondata di rap italiano che prometteva di invadere la radio e la tv sembra già in riflusso, popolata com’è di artisti che usano uno slang modellato su quello americano e sfoggiano biografie troppo simili tra loro per essere credibili (emarginazione, litigi in famiglia, droghe più o meno leggere, e alla fine il salvifico incontro con l’hip-hop). Le case discografiche, sempre alla ricerca di nuovi fenomeni, dopo i successi di Gemelli Diversi e Articolo 31, hanno calcato la mano e ingolfato il mercato, o meglio quel poco che ne rimane.
I nuovi rapper giocano con i simboli della notorietà (le varie Anna Falchi ed Elisabetta Gregoraci), si tuffano nel turpiloquio tanto da suscitare interrogazioni parlamentari, però poi sono capaci di sperimentare con i suoni come pochi. E magari tra Inoki e HugaFlame si nasconde il nuovo Neffa, il prossimo Jovanotti, l’erede di Frankie Hi Nrg: artisti che non hanno difficoltà a esibirsi sul palco di Sanremo, ma che oggi si farebbe fatica a classificare sotto la voce hip-hop. Tutti hanno trovato una strada personale, recuperando la tradizione melodica, ispirandosi ai cantautori o declinando il rap secondo tempi e modi della world music (ma c’è pure Piotta, che si è riciclato come talent scout).
Della seconda ondata, però, al momento il solo che sembra destinato a rimanere è Caparezza: perché ha capito che il rap, per sopravvivere, deve morire, magari ucciso da un acuto di Al Bano, come succede nel suo ultimo singolo.

venerdì 18 luglio 2008

In arrivo gli " OASIS"

Svelata la tracklist del nuovo album degli Oasis Dig out your soul che uscirà in autunno sotto la loro etichetta indipendente Big Brother Recordings. Sul sito del gruppo viene svelata anche la cover del cd. Dig Out Your Soul, prodotto da Dave Sardy, già al lavoro con la band per l'album del 2005 Don't believe the truth, è stato registrato agli studi di Abbey Road e mixato a Los Angeles. Tutti i membri della band hanno contribuito alla stesura dei brani. Sul sito anche la copertina del cd, opera del designer londinese Julian House.
Ecco la tracklist: Bag It Up, The Turning, Waiting for the Rapture, The Shock of the lightning, Ìm Outta Time, (Get Off Your) High horse lady, Falling Down, To be where therès life, Ain't got nothing, The nature of Reality, Soldier On. Il primo singolo The Shock of the Lightning sarà nei negozi il 29 settembre.

martedì 15 luglio 2008

GUNS N'ROSES.....su "ROCK BAND 2"

Da quanti anni è che i fan dei Guns n'Roses attendono il nuovo album Chinese Democracy? Circa quindici, o giù di lì. Adesso sembra che qualcosa finalmente si muova nel quartier generale di Axl Rose. E' stato infatti confermato che una nuova canzone della band vedrà la luce a settembre, ma in una forma del tutto speciale. Sarà distribuita con Rock Band 2, il secondo capitolo del videogame musicale prodotto da MTV.
Il brano si intitola Shackler's Revenge e, secondo il New York Times, la sua pubblicazione sarebbe la prima mossa di marketing in vista di un lancio entro la fine dell'anno di Chinese Democracy. Tenendo conto che si tratta dei Guns n'Roses e considerando il chilometrico elenco di date di distribuzione dell'album prima annunciate e poi smentite, forse sarebbe meglio adottare ancora la tecnica di San Tommaso: finchè non vedo, non credo.
Il passaggio in anteprima attraverso Rock Band 2 conferma comunque un trend ormai piuttosto diffuso in ambito discografico, soprattutto nel genere rock. Videogiochi come Rock Band e Guitar Hero stanno diventando un canale di distribuzione musicale sempre più gettonato da artisti e label, offrendo una stampella commerciale e tecnologica a un'industria che da tempo - visto il crollo del settore dei cd - sta cercando di inventarsi nuovi modelli di business.
Non solo i brani venduti su videogame costano di più rispetto a quelli distribuiti su iTunes e altri negozi online (e quindi sono più redditizi), ma in certi casi vendono anche più copie. Il New York Times cita l'esempio di Saints of Los Angeles dei Motley Crue, che nella prima settimana di pubblicazione a giugno ha venduto 14,000 copie su iTunes e 48,000 sulla piattaforma Xbox Live nel formato per Rock Band.
Se Rock Band punta forte sulle singole canzoni, Guitar Hero ha pubblicato una versione del gioco dedicata interamente al repertorio degli Aerosmith e nei prossimi mesi ne arriverà una sui Metallica. Ma non basta: il tam tam online ripete da tempo che anche il tanto atteso avvento dei Beatles su Internet potrebbe passare prima dai videogiochi e solo successivamente dai jukebox musicali (un'ipotesi citata non solo dai blog, ma anche da fonti autorevoli come il Financial Times).

lunedì 14 luglio 2008

La corsa del "VINILE"non si ferma

Poi dicono che il mondo va avanti. Mi sono capitate sotto il naso le ultime rilevazioni sul ritorno del disco di vinile, naturalmente negli Stati Uniti. I dati sono della Nielsen, secondo la quale nel 2006 sono stati acquistati 858.000 esemplari, che nel 2007 sono diventati un milione e ora, per la fine dell'anno, si dovrebbe arrivare a 1.600.000. Tutto questo mentre il cd, nello stesso periodo, ha registrato una caduta del 17,5 per cento.
Da parte sua il vecchio giradischi, stra-dato per morto, era precipitato dagli 1.8 milioni di esemplari venduti nel 1989 ai 275 mila nel 2006: l'anno scorso, è risalito a mezzo milione. Ne circola ora, ed è piuttosto venduto, un nuovo esemplare fornito di una presa USB grazie alla quale si trasferisce la musica in MP3 . Segno dei tempi e dell'interesse, no?
Molti degli artisti non rinunciano a pubblicare i loro nuovi lavori in questo formato: i Raconteurs, Springsteen, Cat Power, Portishead , Elvis Costello, Ryan Adams, NIN lo hanno fatto con le ultime opere; e lo hanno fatto anche alcuni degli italiani, da Vasco Rossi a Zucchero.
Siamo sempre, of course, nella nicchia. Un vinile può vendere 5/10 mila copie quando va benissimo. "In Rainbows" dei Radiohead ne ha vendute 13 mila, la riedizione di "Blonde on Blonde" di Bob Dylan ne ha fatte fuori addirittura 25 mila.
Fenomeni di nicchia per ascolti di nicchia. Però un ascolto più caldo, più minuzioso e attento ai particolari; e anche più divertente per tutto il cerimoniale che si porta dietro. Vuoi mettere com'è banale, schiacciare un bottone e trovarsi la pappa pronta?:-)...Pensateci bene...CIAO!

domenica 13 luglio 2008

Si e' concluso TRAFFIC con note e fulmini

E’ finita, alla Pellerina è tornato il silenzio,ma pure il ricordo di una notte di pioggia impietosa, che ha martirizzato quella che doveva essere l’apoteosi di Traffic Free Festival, con Patti Smith e gli Afterhours, e i rinati Massimo Volume. Onore a Patti, che ha cantato sotto il diluvio e al pubblico che non è fuggito: premiato con un concerto memorabile, forse il più emozionante del Festival. E’ finita, ma ci saranno altre occasioni, altre notti meno sfortunate. Almeno, in tanti lo sperano, benché sul Festival si addensino nubi ancor più procellose di quelle che venerdì e ieri lo hanno sferzato.
Messe in conto all'imponderabile le traversie atmosferiche, il bilancio dell’edizione 2008 può prendere l’avvìo proprio dall’entusiasmo di Johnny Rotten, al termine del burrascoso show con lanci d’oggetti e scambio di contumelie d’ordinanza con i pogatori sul fronte del palco. L’anziano ribaldo ha abbracciato commosso uno degli organizzatori, e quasi in lacrime per la gioia gli ha detto: «Grazie, grazie! E’ il pubblico più civile che ho mai avuto!». In verità, e con tutto il relativismo d’obbligo in casi simili, il primo merito di Traffic è stato proprio d’aver costruito, educato, formato, in cinque anni, un pubblico “civile” – persino un concerto ad alto rischio come quello dei Sex Pistols s’è risolto senza problemi – e capace di apprezzare un cartellone che ingloba culture differenti, affiancando al rock l’arte contemporanea, il cinema, la letteratura. Un Festival che non si riduce musica fine a se stessa, che si apre alla società, tanto che ieri ha ospitato, con il riserbo necessario per tutelare un uomo nel mirino della ‘ndrangheta, Pino Masciari, un simbolo della ribellione contro la criminalità organizzata.
Ma pur restando all’ambito musicale, core business di Traffic, il pubblico è diventato, con gli anni, sempre più sensibile alle proposte meno corrive, pronto ad accorrere in massa pur quando il cartellone non propone le superstar del momento, ma stimola scoperte e riscoperte non banali. E poi, Traffic ha dimostrato che un festival rock può avere un spirito proprio: può creare comunicazione fra le persone. E la quinta edizione ha definitivamente raggiunto un altro degli obiettivi programmatici, imporre un’immagine positiva, una visibilità vasta per Torino: bastava sbirciare le targhe delle migliaia di auto posteggiate attorno alla Pellerina per scoprirci cuore d’Italia, d’Europa: da Milano a Palermo, dall’Austria alla Francia, testimoniavano che Traffic è una realtà forte a livello europeo.
Eppure, ieri la soddisfazione dei direttori Max Casacci, Alberto Campo, Fabrizio Gargarone e Cosimo Ammendolia era offuscata, più che dal cielo gravido d’acqua, dal pensiero del “dopo”. Li preoccupa non tanto il taglio del finanziamento pubblico – il Festival ha ormai argomenti tali da allettare qualsiasi sponsor – quanto la volontà di parte della giunta comunale, sindaco in testa, di deportare Traffic nella sedicente Arena Rock, un’area recitata che farebbe rimpiangere un carcere, figurarsi gli alberi e i prati del Parco della Pellerina. Né si capisce che cosa accadrebbe se l’afflusso del pubblico fosse superiore – com’è accaduto l’altra sera – ai sessantamila posti della sullodata Arena; chi spiegherebbe al punkettone arrivato da Salisburgo per un free concert che, peccato, non si entra più, e se ne torni cortesemente a Salisburgo senza farne un dramma.
La contromisura, sostengono i laudatori del progetto, sarebbe imporre l’ingresso a pagamento, negazione suprema della filosofia di un free festival come Traffic. A palazzo civico sembrano decisi a tirare diritto. E allora, quella che abbiamo salutato in quest’umida notte di luglio sarebbe l’ultima notte di Traffic come l’abbiamo conosciuto e amato. Con la consueta, signorile noncuranza, Torino si appresta a disfarsi di un altro suo gioiello.Alla prox..by

sabato 12 luglio 2008

In 70.000 per i SEX PISTOLS al TRAFFIC

Sono passati trent’anni, ma ancora spaventano. O almeno, rompono le scatole. D’altra parte, non puoi pretendere di farti chiamare Sex Pistols e intanto comportarti sempre da signore di mezz’età civile e placato, come anagrafe e logica suggerirebbero. In particolare, uno che da ragazzo decise che non sarebbe più stato un Lydon qualunque, ma un «Rotten», un marcio, ha un passato orribile da onorare: questione di stile. Se non li fai impazzire, li deludi.
Il pubblico, almeno settantamila, è impazzito, ieri sera al parco di Torino della Pellerina, per l'energico concerto gratuito dei risorti Sex Pistols, clou del Traffic Festival.
Un concerto accidentato: in apertura, mentre suonano i Plastination, prima band di spalla, un forsennato fortunale manda in tilt gli impianti elettrici, allaga l’area e infradicia il pubblico irto di creste e piercing: situazione molto punk. I pompieri con le idrovore svuotano l’enorme pozza che s’è formata davanti al palco, mentre i crestati li incitano con cori da stadio: «Uno di noi, pompiere sei uno di noi!». Si riparte, con Punkreas e Wire, e infine arrivano loro, le Anime Nere.
Sex Pistols è un nome che ancora smuove le budella, anche se oggi s’incarna in quattro signori attempati, ben diversi dagli spettri emaciati che in 799 giorni – tanti ne passarono fra il primo concerto al St-Martins College di Londra, e l’ultimo al Winterland di San Francisco – sconvolsero prima l’Inghilterra e poi il mondo, cambiando per sempre la musica e del costume giovanili. E se ci pensate, è un ben curioso spettacolo, quello di migliaia di ragazzi che pogano selvaggiamente istigati da quattro stagionati ex-teppisti. Peraltro, alle spalle dei pogatori selvaggi s’assiepano ex punk ingrigiti, che hanno da tempo dismesso le creste d’ordinanza; e poi i curiosi, quelli che semplicemente vogliono ascoltare dal vivo quei brevissimi e furiosi feticci – Pretty vacant, God save the Queen – seminali al di là d’ogni ragionevole valore estetico. Tutti qui per incontrare il Mito.
E non importa se il Mito, dietro le quinte, è banale: nel backstage, oltre ai Sex Pistols, ci sono pure i Wire, altri reduci di quella stagione forsennata, ma più che un summit di diavoloni punk sembra un congresso di dentisti. Senza adeguati orpelli di scena, i cinquantenni non terrorizzano nessuno: anzi, il più terrorizzato è proprio lui, Johnny Rotten, davanti alla siringa che il medico di servizio gli pianta nel fondoschiena per placargli i crampi con un’iniezione di antidolorifico. Né vi deluda sapere che il tremendo Johnny nel suo camerino – dove siede solitario, succhiandosi il pollice – ha preteso frutta, formaggi, verdure crude e, massima trasgressione, birra Moretti rossa. Il resto della band la birra l’ha voluta analcolica. Tra le richieste c’è anche del whisky, più che altro, credo, per motivi d’immagine: vanno bene autodistruzione, “no future” e nichilismo, ma pure la gastrite, a una certa età, ha la sua importanza. Anche se sei sopravvissuto al punk, è meglio andarci piano, con gli stravizi.
Semmai, per restare all’altezza della pessima fama, fanno i tignosi pretendendo di cambiare albergo, o incavolandosi se le pizze tardano e il tè non è servito nelle tazze di porcellana. Però quando arrivano in area salutano con buona creanza.
Ma la cosa più punk che fa è, a fine concerto, coprire d’insulti sanguinosi uno spettatore che gli aveva lanciato una bottiglia sul palco. Nella migliore tradizione.

venerdì 11 luglio 2008

I "PINK FLOYD....in versione geografica

Una guida per viaggiare in compagnia di una mucca pezzata, di un maiale in volo su una centrale elettrica e di una piovra gigante. Ma anche un baedeker da leggere canticchiando «vorrei che foste qui», rigorosamente in inglese: I Wish You Were Here... In una sola parola è «Floydspotting », il libro che Alfredo Marziano e Mark Worden hanno dedicato ai Pink Floyd. Titolo da veri adepti di quella autentica «religione» rock di cui Roger «Syd» Barrett, Roger Waters, Nick Mason, Rick Wright e David Gilmour furono i sacerdoti. E che l'editore Giunti ha voluto spiegare anche a chi nulla sa della band che ha cambiato la storia della musica moderna, con questo didascalico sottotitolo: «Guida alla geografia dei Pink Floyd».
Il risultato sono 240 pagine (il prezzo è 18 euro), pubblicate nella collana Bizarre diretta da Riccardo Bertoncelli, corredate da cartine geografiche e da una centinaio tra foto inedite e altre scattate appositamente per questo volume. «Armati di appunti, mappe, macchina fotografica e voyeuristica curiosità — spiega nell'introduzione Marziano — siamo partiti per un safari tra Cambridge e Londra, i punti cardinali della boscaglia Floyd. Un'esplorazione dei luoghi dove i Fab five hanno abitato, vissuto, studiato, suonato, fatto progetti, perso tempo, bevuto e talvolta dato di matto». Non si tratta dell'ennesima biografia, ma di una vera guida di viaggio sui luoghi della band, un vademecum pratico da usare per una vacanza in Inghilterra, con in più il must di un percorso che permette di conoscere i Pink Floyd sul campo. «E per ora — scrive sempre Marziano — il nostro atlante geografico si ferma qui, nel Regno Unito: per il resto, viaggi interstellari, spedizioni verso il Cuore del Sole e soggiorni lunari all included, rinviamo a un eventuale volume 2...».
Il viaggio è suddiviso in 117 tappe. A ogni tappa è dedicata una scheda informativa contenente foto, notizie, cenni storici e aneddoti spesso ricavati di prima mano da interviste con amici, colleghi, collaboratori e concittadini dei «Fab five». Si comincia, ovviamente, da dove tutto è cominciato. Cioè, Cambridge, inizio degli anni Sessanta. Da quando David Gilmour capeggiava i Jokers Wild e Roger non ancora «Syd» Barrett faceva parte dell'effimero gruppo dei Geoff Mott and the Motteos. Sono 51 capitoli sui 117 totali, nei quali succede di tutto: ci sono i pub dove Waters, Mason, Wright e Barrett, i quattro fondatori ufficiali dei Pink Floyd Sound (così si chiamavano nel 1964), andavano da buoni inglesi a tracannare pinte e a rimorchiare le ragazze. C'è la loro prima «sala prove», un appartamento su Gwider street dove «potevamo fare un gran casino con gli strumenti e proiettare sui muri bianchi degli edifici vicini i nostri light show. Per i vicini deve essere stata un'esperienza paragonabile a un trip di acido! », ha confessato il padrone di quell'appartamento, John Gordon, a Marziano e Worden.
C'è soprattutto la tragica vicenda di Roger «Syd» Barrett, voce storica e chitarrista della banda che fondò e che nel giro di soli 4 anni lasciò (gli subentrò Gilmour), sparendo in un vortice di follia e droghe. Da cui non riemerse praticamente più, fino alla fine dei suoi giorni, il 7 luglio del 2006. Da Cambridge ci si sposta poi tra Devon, Birmingham e il Sussex, dove nella Concert hall del Dome di Brighton cominciò a prendere corpo «The Dark Side of the Moon ». Infine, Londra. La capitale, la culla della controcultura, della psichedelia, dei freak e degli hippies. Insomma, il brodo di coltura perfetto per i Pink Floyd. E qui, grazie al lavoro dei due autori, scopriamo dove stanno e che cosa è successo al giardino della casa che sta sul retro della copertina di «Ummagumma », alla centrale elettrica di Battersea park sulla quale volava il maiale di «Animals», al prato dove pascolava la mucca Lulubelle III di «Atom Heart Mother» (oggi passata a miglior vita, si spera senza passare dal macello), alla serra del Syon park del video di «Shine On You Crazy Diamond», al Crystal palace bowl del concerto entrato nella storia per la piovra gigante gonfiabile emersa dallo stagno che separava il palco dal pubblico.La presentazione di Floydspotting è in programma a Milano, alla libreria Areutopia di via G. Mora 5, venerdì 11 luglio, dalle 18 alle 22. Per l'occasione è organizzata una mostra di immagini esclusive che rimarrà aperta anche sabato 12...da non perdere....Ciao...alla prox!!

giovedì 10 luglio 2008

GIOVENTU' del 3000

I corpi di cartone,
le mani trasparenti,
occhi senza colore,
uguali tutti i denti.
Uniformi in statura e peso
di plaxiglass il cervello,
con carta di alluminio,
per renderlo più bello.
Di legno dita e gambe
di plastica la bocca
con gomiti e avambracci
di creta e terracotta.
Sorrisi finti e stanchi,
ipocriti i pensieri,
parole e fantasie
saran ben poco veri.
Non batterà più il cuore,
nessun grido d'amore,
anima ed emozioni
in alcune condizioni.
Le orecchie saran fatte
per ascoltar bugie,
saranno omologate,
le tue come le mie.
... E mancherà la luce
negli occhi dei ragazzi,
che nell'anno tremila, diventeran pupazzi.

mercoledì 9 luglio 2008

Un Romano alla guida della storica "EMI"

Emi, storica etichetta discografica e colosso del settore musicale internazionale, volta pagina: per uscire dalle paludi in cui è caduta e arrestare il fuggi fuggi di star di grosso calibro dal suo catalogo si affida ad un italiano. Sarà infatti Elio Leoni-Sceti, 42enne romano, il prossimo amministratore delegato dell’azienda.
Poco conosciuto oltre Manica, Leoni-Sceti - che prendera’ posto nella stanza dei bottoni il prossimo ottobre - è ancora meno conosciuto negli ambienti musicali: esperto di marketing, il futuro capo di Emi Music proviene dalla Reckitt Benckiser, azienda leader nel settore dei prodotti di pulizia.
«Sono felice che Elio abbia deciso di venire alla Emi a guidare una delle più spettacolari trasformazioni che si siano mai verificate nell’industria musicale», ha detto Guy Hands, attuale ad di Emi Music. Hands ha poi aggiunto che, una volta arrivato Leoni-Sceti, farà un passo indietro e diventerà Presidente onorario dell’etichetta. «I suoi successi - ha quindi sottolineato - e il suo carisma sono gli ingredienti giusti per assicurare la crescita di Emi: Elio ha la passione e le motivazioni per realizzare le ambizioni che tutti noi abbiamo».
Eppure il nuovo boss di Emi dovrà guadagnarsi la fiducia dei suoi. Secondo quanto rivelato dal Times - che ha anticipato tutti nel rivelare la scelta di Leoni-Sceti - il comparto musicale si aspettava - e sperava - un figura di spicco, possibilmente avvezza alle insidie del settore, a capo della major britannica. Dopo tutto, la guerra intestina esplosa dopo l’acquisto della gloriosa etichetta musicale britannica da parte della «private equity» Terra Firma è sempre stata attribuita alla scarsa attenzione riservata dai nuovi padroni ai delicati equilibri tipici del mondo della musica.
Celebre, a proposito, la battuta di Tim Clarke, manager di Robbie Williams, che ha accusato Guy Hands di comportarsi come il «padrone di una piantagione». Da quando Terra Firma ha preso il controllo, infatti, sono stati tagliati gli acconti alle star e agli artisti è stato detto di «lavorare più sodo» per promuovere gli album. Una politica che è già costata all’etichetta la perdita di nomi grossi: Radiohead e Paul McCartney. La band di Tom Yorke, in un esperimento senza precedenti, aveva infatti invitato i fan a pagare quel che volevano per scaricarsi il nuovo album «In Rainbows». Una mossa che si è trasformata in un colpo a effetto, aumentando la popolarità del gruppo, che ha detto addio alla Emi dopo aver litigato sui soldi e sul controllo creativo sui propri brani. D’altra parte, la fronda scatenata dagli artisti della Emi aveva avuto il suo epicentro con l’abbandono dello storico capo Tony Wadsworth. «Tony rappresentava la ragione per cui molti gruppi hanno firmato con la Emi», aveva dichiarato a suo tempo Dave Holmes, manager dei Coldplay. «Gli artisti vogliono lavorare con gente che capisce di musica, non con i ragionieri della finanza».
E non è un caso che fin dalle prime battute Leoni-Sceti ha scelto di mettere al centro della scena gli artisti in scuderia. «Emi - ha dichiarato - è l’etichetta musicale che può vantare alcuni tra i più famosi musicisti del mondo: si va da nomi classici come i Beatles, Pink Floyd, i Queen e i Beach Boys a artisti contemporanei come Kylie Minogue, Lily Allen e Norah Jones. Sia i Coldplay che Katy Perry sono finiti in testa alle classifiche sia in America che nel Regno Unito. Il potenziale è grande: il consumo di prodotti musicali è in crescita, a livello mondiale, più che mai e non vedo l’ora di mettermi al lavoro con artisti e colleghi del gruppo Emi...be' che dire mi resta che farle gli auguri...e buon lavoro!

martedì 8 luglio 2008

Torna "TRAFFIC FESTIVAL"

Sette giorni di musica completamente gratuita, e insieme film, mostre, incontri: torna il Traffic Festival, che quest'anno ha un'anima duplice, un po' dance e un po' punk. Così l'anteprima di ieri era dedicata ai Justice, band electro-dance francese che aspira all'eredità dei Daft Punk, e si è svolta a Milano sponsorizzata da Alfa Romeo MiTo. Poi, dopo una tappa di avvicinamento a Biella (stasera, con i Baustelle e Robertina), il Traffic arriva finalmente a Torino domani. Questa quinta edizione, come sempre sotto la direzione artistica del subsonico Max Casacci, è legata a doppio filo con le iniziative di Torino World Design Capital. E quindi si inaugura la mostra Gibson Design, dedicata alla chitarra elettrica usata da rocker come Keith Richards, Pete Townshend, Jimmy Page, Eric Clapton e Frank Zappa, con un'esposizione di modelli personalizzati da alcuni noti artisti torinesi. E poi, tra un film (The Punk Experience) e una mostra si arriva al primo concerto all'ex Ogr, un vecchio spazio industriale recuperato, dove i Massimo Volume si cimentano con La caduta della casa degli Usher di Edgar Allan Poe e Marco Passarani propone un set techno.
La sede tradizionale del Traffic, il Parco della Pellerina, ospita i concerti degli ultimi tre giorni: ancora dance giovedì, con Tricky che presenta Knowle West Boy, il nuovo disco appena uscito dopo cinque anni di silenzio, e poi il bastard pop di Soulwax e 2Many Djs, seguito dal rock dei Battles. Si chiude con il delizioso elettropop di Fujiya & Miyagi (che non sono un duo giapponese, ma un quartetto inglese). Disegnare ritmi, questo il tema della serata, che come le successive proseguirà ai Murazzi del Po, nello storico locale di Giancarlo.
Venerdì tocca ai Sex Pistols (oggi tornati insieme solo per soldi, come dichiara il leader Johnny Rotten), e i Wire, artefici di piccoli ma influenti capolavori a cavallo tra gli Anni 70 e 80. In scena pure i nostrani Punkreas e i torinesi Plastination. E' questa l'altra anima del Traffic, quella dedicata alla breve e folgorante epopea del punk, che ha lasciato un segno nella storia della musica non tanto per le canzoni, quanto per un'attitudine ribelle che mette da parte la tecnica a favore della libera creatività. Una lezione che ha segnato per sempre anche generi molto lontani dal punk, come l'elettronica, dove con un computer e qualche programma, tutti possono diventare musicisti di successo.
Ultimi in ordine di tempo, gli Hercules And Love Affair, esordienti newyorchesi forti di un buon album uscito qualche mese fa e di un singolo micidiale, Blind, cantato da Antony. Lui con la sua voce angelica non ci sarà, a Torino, ma loro sì, e proporranno una miscela elegante di dance ed elettronica nell'ultimo appuntamento del Festival, insieme ad Alter Ego, Matthew Dear, Ryan Crosson. Tutti al Palaisozaki, ma solo dopo il rito conclusivo, officiato alla Pellerina la sera di sabato da Patti Smith, Afterhours e Massimo Volume. Anche stavolta si prevedono decine di migliaia di spettatori, però c'è qualche dubbio che la vecchia signora di Because The Night possa entusiasmare i ragazzini come fecero lo scorso anno i Daft Punk, protagonisti di una serata assolutamente straordinaria da non perdere...BY.....AndyV!CIAO

lunedì 7 luglio 2008

BAGLIONI a Lampedusa

Torna a Lampedusa O' Scià la manifestazione oramai alla sesta edizione, organizzata da Claudio Baglioni, la cui realizzazione poche settimane fa era fortemente in dubbio. Baglioni si esibirà sabato 27 settembre sulla spiaggia della Guitigia, in un concerto che racconterà il percorso compiuto dal progetto. La storia di O' Scià, fatta di musica, emozioni, aneddoti, curiosità e retroscena, verrà ripercorsa grazie alla presenza in video dei 150 tra musicisti, artisti e attori che hanno animato le prime cinque edizioni della rassegna. Ci saranno anche i video-messaggi di tutti quelli che avrebbero partecipato agli otto giorni della rassegna ma, per vari motivi, non potranno esserci.
«Canterò e racconterò una doppia nostalgia - ha spiegato Baglioni -. Nostalgia del passato e nostalgia del futuro. Con nostalgia del passato mi riferisco, ovviamente, alla storia di questi primi cinque anni del progetto che, partito quasi in sordina, è cresciuto al punto da diventare una tra le più importanti rassegne di musica e arti a sfondo sociale, non solo del nostro Paese, ma anche d'Europa. Con nostalgia del futuro, mi riferisco, invece - aggiunge l'artista - alla speranza che il sostegno amico di Istituzioni, locali, nazionali, europee, ma anche movimenti religiosi e culturali, si faccia vento nuovo in grado di sospingere ancora la piccola barca di carta da musica di Òscià lungo la rotta dell'incontro e dell'integrazione tra le culture».

domenica 6 luglio 2008

Tutti dall'LIGA...

Puntanta di sabato ai LIDI FERRARESI andata alla grande con revival anni 80'....e ora dalla hall dell'albergo di MILANO attendo questa sera il concertone del grande LIGA.. e questa sera saro' alla prima,infatti l’estate di Ligabue comincia in una notte calda e appiccicosa fra le braccia di San Siro per la sesta volta nella sua carriera. E’ il primo stadio del suo nuovo viaggio, stasera bisserà (120 mila i fan messi insieme in questa prima doppietta: un parterre da record, vista anche la crisi che sta toccando l’industria della musica dal vivo) per poi proseguire con altre sei notti, compresa quella dell’Olimpico il 18 (ci sono ancora posti disponibili per la curva), a provare che l’unico che può tenere il ritmo di Vasco è nato a soli 70 chilometri da Zocca, ovvero che è lui, il Liga da Correggio.
Due ore abbondanti, classicamente antologiche. Del resto, un concerto di fronte a tanto pubblico non può che essere un racconto autobiografico che mette in vetrina tutti i successi di una carriera, senza stare troppo a badare se lo spunto immediato per tornare in pista a così breve distanza è l’uscita di Secondo tempo (nei negozi dal 30 maggio), il best che ha messo insieme i successi che vanno dal ’97 al 2005 con l’aggiunta di tre inediti (Il centro del mondo, Il mio pensiero e Ho ancora la forza, scritta con un altro emiliano, Francesco Guccini). Naturalmente i pezzi nuovi fanno parte del menù che apre subito con uno dei brani migliori del repertorio del Liga, Certe notti (stare allo stadio, con decine di migliaia di fans che ti osannano, è proprio una di quelle ”certe notti”) e chiude, sudato a torso nudo dopo aver lanciato una sorta di monito politico («questo Paese non è di chi lo governa ma di chi ci abita») con Buonanotte all’Italia, una sorta di epitaffio sulla nazione, dove parole e musica sono accompagnate da una sfilata di immagini che appartengono alla nostra storia da Falcone e Borsellino a Fabrizio De André e Giorgio Gaber (ma dal montaggio, già utilizzato nei concerti del ”primo tempo”, è sparito Lucio Battisti perché la vedova, Maria Grazia, affetta da una sorta di febbre negazionista, vieta a tutti e a tutto il permesso di utilizzare il marito). Un richiamo che fa il paio coi primi dieci articoli della Costituzione proiettati sul mega schermo da 300 metri quadrati («servono a far pensare la gente» dice l’artista) mentre suonano le note di Non è tempo per noi.
Anche il palco è pieno di riferimenti. Allegorie ecologiche (i pannelli solari, le pale eoliche, le cisterne). Offre pure un messaggio di ottimismo nel suo essere costruito come una rampa di lancio («verso il futuro»). E c’è posto perfino per una nota polemica sui problemi acustici di San Siro con una frase che rivendica: «Il rock dovrebbe essere suonato al volume che serve». Invece, qui a San Siro, siamo di nuovo ai ferri corti con gli abitanti del quartiere, specie dopo il concerto di Bruce Springsteen che ha sforato di parecchio sia sui decibel sia sull’orario di chiusura imposto (le 23,30). E, allora, Luciano viaggia con il cronometro, vietato sforare, pena il bando della musica dallo stadio più musicale d’Italia. Sale in scena alle 21,10 in punto (dopo aver dato spazio a una serie di band giovani, fra cui i bravissimi romani Greenwhich), e la scaletta prevista ci sta tutta, con i venticinque titoli che la band decisamente gagliarda e ben organizzata (con la chitarra di Federico Poggipollini in evidenza e un nuovo robusto batterista, l’americano Michael Urbano) ripassa dando forza e dinamica a un repertorio che, se ha un difetto, è quello di assomigliarsi parecchio.
Sfilano classici come Hai un momento Dio?, A che ora è la fine del mondo?, Libera nos a malo, Balliamo sul mondo. Per ogni pezzo c’è il corredo di una storia visiva, dalle citazione di Radiofreccia, alla ginnasta che su una pertica si produce in evoluzioni acrobatiche, al fido Maioli che, come vuole la consuetudine, appare in una clip dove balla I feel good di James Brown, fino ai fuochi artificiali che chiudono la serata con voluta enfasi. Il tour è avviato, andrà avanti per tutto luglio e avrà una coda conclusiva all’Arena di Verona dove, a partire dal 25 settembre, Liga tornerà accompagnato dall’orchestra d’archi del teatro (70 elementi) per un numero imprecisato di date (stando alle sue fissazioni cabalistiche potrebbero essere sette). Quindi meritato riposo (magari pensando al nuovo progetto cinematografico a dieci anni da Radiofreccia). Di musica, con un disco nuovo di inediti, non si parlerà prima del 2010....Buon concerto a tutti...Ciao!

sabato 5 luglio 2008

Rientrano i REM

FERRARA
Michael Stipe è uno di quei profeti sottotono, tutto cervello e niente muscoli, di cui si mostra avara (e neanche troppo desiderosa) la nostra epoca, appassionata piuttosto di punti esclamativi. Sarà anche per questo che per alcuni anni la stella dei REM, il gruppo di cui Michael è carismatico leader, ha brillato con meno intensità, con modeste vendite del penultimo album Around the Sun. Ma ora l’orgoglio di una storia artistica di quasi trent’anni ha ripreso il sopravvento e l’altra sera, al parco Westerngasfabriek di Amsterdam, i nostri tre eroi hanno iniziato con rinnovata energia il tour europeo che li vedrà in un considerevole numero di concerti italiani per lo più all’interno di festival: con anche una coda in settembre, appena annunciata, che si chiuderà a Torino.
Sotto la pioggerella, in un clima settembrino (giacca e cravatta dell’impeccabile quarantottenne Stipe servivano pure a riparare dal fresco) hanno accolto i REM circa 12 mila olandesi: gente che per carattere non si scalda, ma c’entrerà pure la mezza età prevalente nella folla. I REM sono in quel complicato guado che dovrebbe catturare nuovi accoliti senza rinunciare alla storia del loro rock non gridato, concettuale, ispirato, idealista. Non sarà un caso che si siano fermati ad ascoltarli i Radiohead, che si erano esibiti sullo stesso parco il giorno prima: al termine, Stipe li ha salutati al microfono, come in uno scambio di stima che affonda in attitudini in qualche modo simili.
Dal vivo si coglie subito l’impatto vincente di Accelerate, l’album uscito qualche mese fa, teso, spartano e vibrante nei suoi 34 minuti di svelto rock’n’roll. «Living well is the best revenge», diceva la prima canzone: vivere bene è la vendetta migliore; chi, se non un dandy radical come Stipe, poteva partorire un simile ragionamento? In scena la band si impegna in un lavoro duro che per quasi due ore mette insieme nuove canzoni e capisaldi del passato, filtrando il tutto in atmosfere omogenee che hanno un sound inconfondibile: pezzi sempre in bilico fra ballad e aperture ritmiche efficaci, nelle quali fa la parte del leone il chitarrista Buck, sorretto da un’altra chitarra e da una buona batteria.
Scorrono, dell’ultimo lavoro, alcuni dei pezzi più polemici: la stessa Accelerate e Hollow Me, sull’incertezza esistenziale e la confusione che travagliano il nostro tempo; Houston, dedicata a Barbara Bush, mamma di George, quando si lamentò per l’arrivo in Texas dei profughi di Katrina, che alteravano la regione. Si mescolano vecchi hit, magari altrettanto polemici come What’s the frequency, Kenneth? del ‘94, un attacco all’accanimento dei media su certi episodi, e pezzi ispirati e sofferti, semplicemente d’amore, come The one I Love dell’87, o Let Me In dedicata a Kurt Cobain subito dopo la sua morte. Finale alla prevedibile insegna di Losing My Religion, ancora il loro brano più bello dopo tanti anni e cantato in coro dalla folla; poi tutti a casa con The Man on the Moon dell’82, che diede origine a un film (e a un bel video).
Sul palco molti schermi orizzontali e verticali offrono proiezioni e giochi grafici raffinati e tecnologici. Appeso al microfono, l’aria un po’ stanca da jet lag non ancora digerito dopo la traversata oceanica, Stipe consuma, spesso con un filo di voce, la sua fascinazione presso il pubblico: sedurre con misura e intelligenza sembra oggi davvero una grande sfida, ma non c’è troppo da stupirsi se lui e i suoi compagni alla fine riescono a farcela.
Le date italiane: il 20 luglio a Perugia per Umbria Jazz, il 21 all’Arena di Verona, il 23 al Neapolis Festival di Napoli, il 24 a Codroipo di Udine, il 26 al Milano Jazzin’ Festival, Arena Civica, il 26 settembre al Palamalaguti di Bologna, il 27 al Palaisozaki di Torino...Ciao...e stasera grande festa ai lidi...alla prox!

venerdì 4 luglio 2008

ELISA....sbarca in AMERICA

Il sogno a stelle e strisce di Elisa è già realtà. La sua hit Dancing, scelta come colonna sonora delle gare di ballo dello show So you think you can dance, ha già venduto 80 mila copie su iTunes. E da Verona (20 settembre), unica data italiana con lo show Mechanical Dream la sua voce potente si esibirà a novembre in 16 club americani e canadesi. Il prossimo agosto per la prima volta Elisa debutterà con un intero album sui mercati Usa: si chiamerà Dancing, come il brano con cui si è fatta conoscere on line, e conterrà «tutte le canzoni che - spiega l'artista friulana, oggi a Milano come ospite delle finali di Cornetto free music audition - farei ascoltare ai miei idoli musicali».
Felice, ma consapevole della sfida la 31enne di Luce. «Sono felice, questo è un regalo enorme, ma so anche - spiega Elisa Toffoli - che non sarà facile, perché in Italia ci sentiamo musicalmente inferiori e le cose cambieranno solo quando, anziché guardare con invidia i colleghi inglesi e americani, lo faremo con apertura e voglia di scambio».
L'unica data italiana. Il titolo del concerto Mechanical Dream «è la somma delle due componenti opposte che - anticipa - sono alla base della mia musica: una sognante, aerea e sospesa, che appartiene alle melodie, e l'altra, terrena e ostinata, che sfocia nel ritmo». Per lo show di Verona, che sarà aperto da Ribella, una delle vincitrici del concorso di talent scout organizzato da Cornetto (gli altri trionfatori si esibiranno invece in alcune date di Zucchero), Elisa ha preparato alcune cover, tra cui una di Kate Bush, e ha scelto di circondarsi di ballerini e ginnaste. «Visto che mi hanno proposto di suonare all'Arena e non ho dischi in uscita, ho pensato che un posto così eccezionale - racconta - fosse il contenitore emotivo più giusto per esaudire alcuni desideri artistici», che vanno dalle cover ai costumi, dai ballerini alle atmosfere ispirate ad 'Alice nel paese delle meraviglie, un personaggio a cui Elisa si deve sentire molto vicina ora che sta finalmente per coronare il suo sogno americano.Come darle torto, come detto qualche giorno dal mio ritorno americano riuscire ad imporsi li' e una vera consacrazione musicale per ogni tipo di artista,in pochi son riusciti nel coronare questo sogno...auguri ELISA!..Alla prox.....CIAO!

giovedì 3 luglio 2008

CLASSIFICHE di VENDITA

Sono ancora i Coldplay a guidare la classifica Fimi Nielsen degli album più venduti. Il gruppo londinese, che nella sua carriera ha venduto più di 40 milioni di dischi, precede Ligabue, terzo Giovanni Allevi che guadagna una posizione con il nuovo cd Evolution, mentre Marco Carta, vincitore dell'edizione 2008 di Amici, è quarto con il suo album di debutto. Jovanotti precede Vasco Rossi, che è seguito da
Madonna e Biagio Antonacci. Il brano più scaricato è ancora Cry dei Novecento, il dvd più venduto è sempre When in Rome 2007 dei Genesis.
Ecco nel dettaglio la classifica dal 20 al 26 giugno (negozi specializzati)
e dal 16 al 22 giugno (grande distribuzione).

1) Viva la vida..., Coldplay (Capitol/Emi)
2) Secondo Tempo, Ligabue (Warner Bros/Wmi)
3) Evolution, Giovanni Allevi (Ricordi/Sony)
4) Ti rincontrerò, Marco Carta (Atlantic/Wmi)
5) Safari, Jovanotti (Mercury/Universal Music)
6) Il mondo che vorrei, V. Rossi (Capitol/Emi)
7) Hard Candy, Madonna (Warner/Wmi)
8) Best of 1989-2000, B. Antonacci (Mercury/Universal)
9) Marracash, Marracash (Universal/Universal)
10) Liberi da semper, Sonohra (Ricordi/Sony Bmg).

Questa la classifica delle compilation:
1) Festivalbar Rossa 2008 (Emi Mktg/Emi)
2) X Factor Compilation (Ricordi/Sony Bmg)
3) Festivalbar Blu 2008 (Rhino/Wmi)
4) Viva Radio2-2008, Fiorello&Baldini (Time/Self),
5) M20 Compilation 18 (Time/Self).

mercoledì 2 luglio 2008

RIAVVIO ANDYV

Rieccomi in Citta' sotto la mole,la mia vacanza lavorativa in FLORIDA a MIAMI e finita..devo dire e stata una bella esperienza lavorare con gente che di musica e' molto piu' avanti di noi...e che lo spettacolo di MIAMI e unico compreso il mare!Bene si ricomincia di nuovo a lavorare alla grande anche se qui non si e' fermato niente anzi sono stato sempre in contatto con il mio studio e il lavoro non e mancato per niente...quindi si parte di nuovo con le notizie sul blog e il lavoro di girare piazze anche!La mia carovana compreso me sabato sera sara' sui LIDI FERRARESI con revival anni 80'.In FLORIDA ho preso dei contatti che piu' avanti saranno utili per varie registrazioni in studio,chi segue Musica sa' benissimo che collaborare con tutto il mondo e fondamentale e io non mi faccio mai sfuggire niente all'avanguardia per avanzare di creativita'perche' si cresce sempre...e sempre bisogna apprendere in ogni campo con gente che ne sa piu' di te...anche se il mio progetto MADE IN ITALY va' che un piacere,in fatti a settembre grande inaugurazione a BOLOGNA per il mio secondo studio di registrazione che abbraccia mezzo centro ITALIA...ma che vanta collaborazzioni con LONDRA dal mio viaggio in INGHILTERRA di questo inverno.Bene popolo, Andyv e i suoi collaboratori e staff riprende il cammino insieme,anche se oggi complice il fuso orario sarei rimasto sul letto,ma in studio mi hanno intasato di lavoro...quindi al VIA!!!CIAO!!!