sabato 12 luglio 2008

In 70.000 per i SEX PISTOLS al TRAFFIC

Sono passati trent’anni, ma ancora spaventano. O almeno, rompono le scatole. D’altra parte, non puoi pretendere di farti chiamare Sex Pistols e intanto comportarti sempre da signore di mezz’età civile e placato, come anagrafe e logica suggerirebbero. In particolare, uno che da ragazzo decise che non sarebbe più stato un Lydon qualunque, ma un «Rotten», un marcio, ha un passato orribile da onorare: questione di stile. Se non li fai impazzire, li deludi.
Il pubblico, almeno settantamila, è impazzito, ieri sera al parco di Torino della Pellerina, per l'energico concerto gratuito dei risorti Sex Pistols, clou del Traffic Festival.
Un concerto accidentato: in apertura, mentre suonano i Plastination, prima band di spalla, un forsennato fortunale manda in tilt gli impianti elettrici, allaga l’area e infradicia il pubblico irto di creste e piercing: situazione molto punk. I pompieri con le idrovore svuotano l’enorme pozza che s’è formata davanti al palco, mentre i crestati li incitano con cori da stadio: «Uno di noi, pompiere sei uno di noi!». Si riparte, con Punkreas e Wire, e infine arrivano loro, le Anime Nere.
Sex Pistols è un nome che ancora smuove le budella, anche se oggi s’incarna in quattro signori attempati, ben diversi dagli spettri emaciati che in 799 giorni – tanti ne passarono fra il primo concerto al St-Martins College di Londra, e l’ultimo al Winterland di San Francisco – sconvolsero prima l’Inghilterra e poi il mondo, cambiando per sempre la musica e del costume giovanili. E se ci pensate, è un ben curioso spettacolo, quello di migliaia di ragazzi che pogano selvaggiamente istigati da quattro stagionati ex-teppisti. Peraltro, alle spalle dei pogatori selvaggi s’assiepano ex punk ingrigiti, che hanno da tempo dismesso le creste d’ordinanza; e poi i curiosi, quelli che semplicemente vogliono ascoltare dal vivo quei brevissimi e furiosi feticci – Pretty vacant, God save the Queen – seminali al di là d’ogni ragionevole valore estetico. Tutti qui per incontrare il Mito.
E non importa se il Mito, dietro le quinte, è banale: nel backstage, oltre ai Sex Pistols, ci sono pure i Wire, altri reduci di quella stagione forsennata, ma più che un summit di diavoloni punk sembra un congresso di dentisti. Senza adeguati orpelli di scena, i cinquantenni non terrorizzano nessuno: anzi, il più terrorizzato è proprio lui, Johnny Rotten, davanti alla siringa che il medico di servizio gli pianta nel fondoschiena per placargli i crampi con un’iniezione di antidolorifico. Né vi deluda sapere che il tremendo Johnny nel suo camerino – dove siede solitario, succhiandosi il pollice – ha preteso frutta, formaggi, verdure crude e, massima trasgressione, birra Moretti rossa. Il resto della band la birra l’ha voluta analcolica. Tra le richieste c’è anche del whisky, più che altro, credo, per motivi d’immagine: vanno bene autodistruzione, “no future” e nichilismo, ma pure la gastrite, a una certa età, ha la sua importanza. Anche se sei sopravvissuto al punk, è meglio andarci piano, con gli stravizi.
Semmai, per restare all’altezza della pessima fama, fanno i tignosi pretendendo di cambiare albergo, o incavolandosi se le pizze tardano e il tè non è servito nelle tazze di porcellana. Però quando arrivano in area salutano con buona creanza.
Ma la cosa più punk che fa è, a fine concerto, coprire d’insulti sanguinosi uno spettatore che gli aveva lanciato una bottiglia sul palco. Nella migliore tradizione.

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