venerdì 25 luglio 2008

Ancora e sempre...."LIGABUE"

Certe notti, per dirla alla Ligabue, sono come quelli della sera del 19 luglio all’Olimpico: stare allo stadio con decine di migliaia di fans che ti osannano. Due ore di musica, una sorta di festa, di autocelebrazione che fa il paio con un disco che mette insieme anni di successi (la raccolta Secondo tempo contiene gli hit che vanno dal ’97 al 2005).
Una sorta di racconto autobiografico, un punto e a capo artistico (alla chiusura di questo viaggio che prevede un’ultima scorribanda all’Arena di Verona dal 25 settembre, Luciano si ripromette un riposo prolungato) in attesa di un prossimo futuro album (non prima del 2010). E, allora, spazio ai ricordi con l’aggiunta dei tre inediti che accompagnano il best (Il centro del mondo, Il mio pensiero e Ho ancora la forza, scritta con un altro emiliano, ”zio Guccini” come lo chiama Luciano) e di qualche scampolo di Primo tempo, l’antologia che ha raccolto la parte iniziale della sua carriera.
Se è inevitabile aprire proprio da Certe notti (annata ’95, album Buon compleanno Elvis), la chiusura è suggerita dal tour invernale e da una canzone che sembra fatta apposta per spegenere luci e amplificazione, Buonanotte all’Italia, una sorta di epitaffio sulla nazione, dove parole e musica sono accompagnate da una sfilata di immagini che appartengono alla nostra storia da Falcone e Borsellino a Fabrizio De André e Giorgio Gaber (ma dal montaggio, già utilizzato nei concerti del ”primo tempo”, è sparito Lucio Battisti perché la vedova, Maria Grazia, affetta da una sorta di furore, vieta a tutti e a tutto il permesso di utilizzare il marito). Un richiamo che fa il paio coi primi dieci articoli della Costituzione proiettati (e apllauditi dal pubblico) sul mega schermo da 300 metri quadrati («servono a far pensare la gente» dice l’artista) mentre suonano le note di Non è tempo per noi. Ligabue lo sa, un concerto quando diventa un raduno non è fatto di sola musica: il pubblico cerca l’identificazione, l’artista regala gli agganci parlando della sua musica ma anche delle cose del mondo. Ecco, allora, i riferimenti evidenti all’ecologia con le pale eoliche e le cisterne assieme a un messaggio di ottimismo implicito in quel palco che sembra una rampa di lancio («verso il futuro»).
Luciano si presenta dopo aver dato spazio a una serie di band giovani (fra cui gli ottimi Greenwhich), sfoderando subito l’energia maschia di una band gagliarda e ben organizzata (con la chitarra di Federico Poggipollini in evidenza e un nuovo robusto batterista a dare la spinta giusta, l’americano Michael Urbano), capace di dare forza e dinamica a un repertorio che, se ha un difetto, è quello di assomigliarsi parecchio. Sfilano classici come A che ora è la fine del mondo?, Il giorno dei giorni, Libera nos a malo, Balliamo sul mondo (con tutti i 60 mila dello stadio a ballare). Per ogni pezzo c’è una storia visiva, dalle citazione di Radiofreccia, al fido Maioli che, come da consuetudine, sbuca in una clip dove balla I feel good di James Brown....Ciao!!

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