sabato 5 luglio 2008

Rientrano i REM

FERRARA
Michael Stipe è uno di quei profeti sottotono, tutto cervello e niente muscoli, di cui si mostra avara (e neanche troppo desiderosa) la nostra epoca, appassionata piuttosto di punti esclamativi. Sarà anche per questo che per alcuni anni la stella dei REM, il gruppo di cui Michael è carismatico leader, ha brillato con meno intensità, con modeste vendite del penultimo album Around the Sun. Ma ora l’orgoglio di una storia artistica di quasi trent’anni ha ripreso il sopravvento e l’altra sera, al parco Westerngasfabriek di Amsterdam, i nostri tre eroi hanno iniziato con rinnovata energia il tour europeo che li vedrà in un considerevole numero di concerti italiani per lo più all’interno di festival: con anche una coda in settembre, appena annunciata, che si chiuderà a Torino.
Sotto la pioggerella, in un clima settembrino (giacca e cravatta dell’impeccabile quarantottenne Stipe servivano pure a riparare dal fresco) hanno accolto i REM circa 12 mila olandesi: gente che per carattere non si scalda, ma c’entrerà pure la mezza età prevalente nella folla. I REM sono in quel complicato guado che dovrebbe catturare nuovi accoliti senza rinunciare alla storia del loro rock non gridato, concettuale, ispirato, idealista. Non sarà un caso che si siano fermati ad ascoltarli i Radiohead, che si erano esibiti sullo stesso parco il giorno prima: al termine, Stipe li ha salutati al microfono, come in uno scambio di stima che affonda in attitudini in qualche modo simili.
Dal vivo si coglie subito l’impatto vincente di Accelerate, l’album uscito qualche mese fa, teso, spartano e vibrante nei suoi 34 minuti di svelto rock’n’roll. «Living well is the best revenge», diceva la prima canzone: vivere bene è la vendetta migliore; chi, se non un dandy radical come Stipe, poteva partorire un simile ragionamento? In scena la band si impegna in un lavoro duro che per quasi due ore mette insieme nuove canzoni e capisaldi del passato, filtrando il tutto in atmosfere omogenee che hanno un sound inconfondibile: pezzi sempre in bilico fra ballad e aperture ritmiche efficaci, nelle quali fa la parte del leone il chitarrista Buck, sorretto da un’altra chitarra e da una buona batteria.
Scorrono, dell’ultimo lavoro, alcuni dei pezzi più polemici: la stessa Accelerate e Hollow Me, sull’incertezza esistenziale e la confusione che travagliano il nostro tempo; Houston, dedicata a Barbara Bush, mamma di George, quando si lamentò per l’arrivo in Texas dei profughi di Katrina, che alteravano la regione. Si mescolano vecchi hit, magari altrettanto polemici come What’s the frequency, Kenneth? del ‘94, un attacco all’accanimento dei media su certi episodi, e pezzi ispirati e sofferti, semplicemente d’amore, come The one I Love dell’87, o Let Me In dedicata a Kurt Cobain subito dopo la sua morte. Finale alla prevedibile insegna di Losing My Religion, ancora il loro brano più bello dopo tanti anni e cantato in coro dalla folla; poi tutti a casa con The Man on the Moon dell’82, che diede origine a un film (e a un bel video).
Sul palco molti schermi orizzontali e verticali offrono proiezioni e giochi grafici raffinati e tecnologici. Appeso al microfono, l’aria un po’ stanca da jet lag non ancora digerito dopo la traversata oceanica, Stipe consuma, spesso con un filo di voce, la sua fascinazione presso il pubblico: sedurre con misura e intelligenza sembra oggi davvero una grande sfida, ma non c’è troppo da stupirsi se lui e i suoi compagni alla fine riescono a farcela.
Le date italiane: il 20 luglio a Perugia per Umbria Jazz, il 21 all’Arena di Verona, il 23 al Neapolis Festival di Napoli, il 24 a Codroipo di Udine, il 26 al Milano Jazzin’ Festival, Arena Civica, il 26 settembre al Palamalaguti di Bologna, il 27 al Palaisozaki di Torino...Ciao...e stasera grande festa ai lidi...alla prox!

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