lunedì 22 settembre 2008

Tributo ad una grande..."MINA"...correva il 1958...

Fino a quando non è arrivata lei, nel 1958, non esistevano ragazze che cantassero, e forse non esistevano nemmeno le ragazze. Se c’erano, erano vestite da signore, pettinate da madame, e tranne Nilla Pizzi tenevano tutte gli occhi bassi; sembravano appena uscite dal vespro anche quando salivano sul palco di Sanremo. Nel volto avevano quasi sempre dipinta un’antica miseria riscattata con la voce, ma mai pienamente digerita. Pazienza recitare, in quei tempi, in Italia: ma cantare rappresentava allora per una donna una bella botta di vita. Appena tre anni prima Giulia Occhini, la Dama Bianca, era finita in galera per adulterio; però adesso Modugno aveva appena vinto Sanremo con Nel blu dipinto di blu, e una strana aria frizzante apriva le porte alla rivelazione che lei avrebbe portato: di un modo nuovo di essere, appunto, ragazza.
Mina non teneva gli occhi bassi, ed esibiva corti vestitini assai chic sulle belle gambe. Aveva 18 anni, era altissima per la media nazionale, e si vedeva da lontano che non arrivava dalla povertà ma dalla borghesia: tutto questo già era abbastanza rivoluzionario, impensabile per le menti umane.
In più, aveva una grandissima, bellissima, infinita voce. La scoprirono alla Bussola in Versilia, dov’era andata con alcuni amici. La sentirono cantare e non si vollero più liberare di lei; per un po’ si fece chiamare Baby Gate. Finì dritta in tv, altro fenomeno nascente come lei. Nel giro di tre anni, dal Musichiere al Festival di Sanremo. Quando nel film Urlatori alla sbarra maltrattava Nessuno (fino ad allora modulata da un compìto Johnny Dorelli) aveva una specie di cresta punk: che poi lasciò spazio a mille pettinature che tutte le ragazze - quelle che stavano grazie a lei diventando ragazze - copiarono puntualmente.

Le mille bolle blu, Tintarella di Luna, E se domani.

Però la voce che non temeva confronti si portava dietro anche la rivoluzione di un modello culturale davvero poco democristiano, ed era un pericolo latente. Mina era una giovane donna libera nella mente, che non obbediva alle regole sociali consolidate, guardata con preoccupazione dai tutori della morale. Si innamorò di Corrado Pani, bell’attore ma separato, e nel 1963 ci fece un figlio (il «Paciughino» che ora pazientemente in studio addobba tutti i suoi dischi, e già due volte l’ha resa nonna). Era troppo. Sparì dalla tv, la madre di tutte le ragazze, perché il suo esempio non era più tollerabile.
Ma capitò poi come in politica: che il successo a furor di popolo ti riporta comunque a galla. Collezionava dischi e canzoni per il popolo, lei. Passava dal divertimento di Renato alle romanticherie di Stringimi forte i polsi, da Due note al Cielo in una stanza; i juke-box martellavano che quello era il suo tempo, non c’era niente da fare. Tornò in tv, e ne fu regina per tutti i Sessanta e parte dei Settanta: una stagione grandiosa, che presto tornerà con il suo meglio in un dvd che vuole celebrare i cinquant’anni di carriera. Studio Uno, Sabato sera, Canzonissima, Teatro Dieci, Milleluci. Passava divertita dalla gag con Totò o Sordi a un’infilata di note - con Brava, per esempio - da lasciar storditi. Entrava e usciva dai Caroselli, ma rimaneva stabile sui rotocalchi che alla sua vita sentimentale attingevano famelici: Walter Chiari, e dopo Pani Augusto Martelli, Alfredo Cerutti, il giornalista Virgilio Crocco, con il quale ebbe nel 1970 la figlia Benedetta.
Se si guarda indietro, lascia ancora oggi sorpresi che non ci sia mai stato uno iato deciso nella sua carriera: continua a sfornare successi, con una voce che si è fatta più matura e consapevole affronta nuove sfide, ormai da tempo con la propria etichetta Pdu. Colpisce che queste sfide siano sempre molto rilassate, naturali, non essendo ancora imperanti le grancasse della promozione: i suoi pezzi si promuovono da soli, semplicemente cantandoli. Ma la pressione intorno a Mina è sempre grande: lei interpreta E poi, L’importante è finire, Grande grande grande, le canzoni che le ha cucito Battisti, Insieme, Amor mio, ma pensa che il gioco si sia fatto un po’ troppo pesante. Lascia le scene dal vivo nel ’78, trent’anni fa e dopo venti di carriera, con tredici concerti a Bussoladomani del suo amico e mèntore Sergio Bernardini.
La nuova Mina che ci fa da allora compagnia, non meno presente ma in tutt’altro modo, è una donna e un’artista che si è ripresa spazi umani, all’interno di una esistenza comunque riservata: raccontano che tempo fa abbia voluto entrare in un grande magazzino, ma che sia stata costretta ad uscirne dalla porta di servizio perché i locali si erano letteralmente riempiti di folla; raccontano anche di una vita abitudinaria accanto al marito cardiologo Quaini, sposato nel 2005 dopo 25 anni di convivenza. Partite a carte, vacanze al Forte, insomma gioie quiete che hanno poi sempre un epilogo o un prologo in sala di registrazione: è quello il suo ufficio, il suo luogo deputato. Ascolta migliaia di cassette inviate da star e da sconosciuti, modifica le scelte strategiche: è passata dagli annuali dischi di inediti alle cover, si è data ad album monotematici, si è prodotta in una piccola rivoluzione - nel 2001 - con una riapparizione anche fisica, sul portale internet di Wind che ha registrato 15 milioni di contatti. Vive nel suo mondo, ma è presentissima a noi in ogni stagione dell’anno, con i duetti che le chiedono i colleghi, con i titoli strambi dei cd che lei mette in piedi, con i suoi articoli su La Stampa e la posta del cuore su Vanity Fair. Buon mezzo secolo di gloria, Mina: e continui a farci - per favore - compagnia.

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