domenica 9 novembre 2008

Il maestro GUCCINI...


TORINO
Dal palco del MazdaPalace, gli studenti contestano il futuro che si prospetta per l’Università. Ascoltano silenziosi i quasi diecimila del pubblico, nel parterre non c’è faccia che mostri più di 25 anni. Mancano pochi minuti al concerto di Francesco Guccini e ti guardi intorno: che anno sarà? Poi, alzi gli occhi alle gradinate e lo zoom sulle teste grigie comincia a restituire il senso del presente, finché ad allontanare ogni dubbio arriva il Maestrone, con i suoi luogotenenti musicisti; veloci, dedicati ma (come lui) non lustri, canuti, tendenti a pinguedine che denuncia uno stile da bon vivants. Ci siamo, è definitivamente il 2008. Però, quarant’anni anni dopo, Guccini & i Suoi sono esattamente quella cosa lì che uno ha sempre voluto vedere, tanto che per martedì prossimo al Forum di Milano è da tempo tutto esaurito.
Il Maestrone - secondo Umberto Eco il più colto di tutti i padri cantautori - ha lasciato correre in avanti i colleghi. Fra pigrizia e civetteria, ha scelto di non evolversi, se non costruendosi nella carriera parallela di scrittore che lo prende non poco. E’ l’unico della sua specie ad essere rimasto un classico: con lui, è come sentire i Sonetti dalla bocca di Shakespeare. La civetteria consiste semmai nello spingersi un po’ più indietro, ai pezzi resi celebri dai Nomadi (Noi non ci saremo, Auschwitz, Dio è morto) che vengono cantati in coro o sottovoce da chiunque nel parterre, come del resto grandi canzoni più recenti come Cyrano, che evocano nobili ideali.
Attualità stretta sono le gucciniane chiacchiere. La gente se le beve divertita. C’è molto Berlusconi («Ora dirà: Anch’io da piccolo ero nero» e «Quando invece si incontrerà con Obama, dirà: "I want to excuse me for the battut"», oppure: «Cosa si può pretendere da uno che tre ore dorme, e tre ore tromba?») e molta università gelminiana: «Il professore dirà: "Mi parli del V canto della Divina Commedia, ma prima ecco uno spot"».
Fra le involontarie snobberie gucciniane, c’è quella di far uscire un disco ogni morte di papa. L’ultimo è del 2004, ma qualcosa di nuovo spunta dal vivo: Su in collina, un ballad di Partigiani, e questo struggente Testamento del Pagliaccio, puro Guccini doc: è la storia d’un morto «intossicato da sogni vani di democrazia», con visione molto contemporanea sul funerale.
Nel carniere, Francesco tiene altri pezzi che non canta ora. Nella giungla dedicata alla Bétancourt ancora prigioniera, e poi confessa in privato: «Ce n’è un’altra mezza, Canzone di notte n. 4, o 5, che non faccio ancora in pubblico. Poi un’altra ancora, già tutta in testa, top secret, che dovrei buttar giù con la chitarra. Se solo riuscissi uno di questi pomeriggi a prender in mano ’sta chitarra, se mi tornasse la voglia di suonare tutti i giorni come una volta... Il disco nuovo è mezzo fatto, ma comunque non uscirà prima dell’autunno dell’anno prossimo».
Guccini l’immarcescibile, per sua stessa ammissione è distratto dalla pigra vita di Pàvana, dove sta da sette anni: «Son distratto dalle nuvole basse, dai funghi che giacciono sul lavandino, i cosiddetti "mazzo di tamburo" che mi han dato degli amici. Son distratto dai gatti, tre: Menica, nome tradizionale dei gatti del Molino; suo figlio Pistolicchio e la gatta adottata, detta Paurina perché non si muove da casa. Avendo tre gatti e neanche un cane, non vado a tartufi».
E che fa, a Pavana? «Leggo, vedo qualche amico di sera, hanno aperto un ristorante nuovo. La stagione è finita ed è meglio così, a Porretta trovi da parcheggiare, lì è la nostra capitale». Il problema è: continua a divertirsi? «Quando faccio i concerti sì, anche perché vedo i musicisti, abbiamo un’amicizia più che ventennale, scambiamo battute e opinioni»; l’altra sera con loro faceva il Brunetta della musica, ha minacciato di mettere i tornelli sul palco. Invece: «Non mi diverto affatto all’insegna delle vicende politiche internazionali e nazionali. Bisogna esser ottimisti e ridanciani? Speriamo che una risata non seppellisca noi».
Depressione? «Non vorrei che fosse anche che non ho più vent’anni. Certo non rallegra vedere molta gente in cassa integrazione, siamo proprio sotto zero». Ha cambiato stile di vita, pure: «Adesso fumo poco, vado a letto prestissimo, al massimo l’una; anche a Bologna comunque sarebbe stato tutto diverso, il vecchio giro si è frantumato, gli amici non giocano più a carte. L’età avanza, non puoi continuare a fare lo sgalicio».

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