lunedì 21 aprile 2008

GUCCINI...il genio andato in fumo.

Con l'ultima sigaretta è andata in fumo anche l'ispirazione. Da quando ha smesso, Francesco Guccini mangia «come un bove», è ingrassato e non scrive più. «Sono entrato nel tunnel della frutta sciroppata in scatola - confessa con la sua proverbiale ironia -, ma è un consumo che non offre alcuna visione».
Sino a sei mesi fa ne accendeva una dietro l'altra, anche quaranta al giorno. Giunto alla soglia dei 69 anni, il cantautore ha deciso di chiudere la porta di quello che considerava un inferno, «era un vizio e, in quanto tale, aveva a che fare con Lucifero». Non ha neanche voglia di suonare, si sente risucchiato «in un abisso senza fine». Si rifiuta di cantare, gli porgono una chitarra e lui si nega gentilmente, niente riesce a convincerlo. Si scusa. «Ho un polso slogato», dice toccandosi il braccio sinistro: «E poi è una Ovation, non la so usare...».
Il pubblico è deluso. Pressati come sardine, i settanta spettatori che sabato sera hanno stipato «La Piola.libri» di Bruxelles reagiscono con un mugugno che l'umorismo e le storie dell'artista modenese placano a fatica. Qualcuno grida «vuoi una sigaretta?» e quello fa naturalmente finta di nulla. Racconta il passato, ripercorre la genesi dei cinque romanzi gialli scritti con Loriano Machiavelli. Niente musica, però, se non rievocata, sviscerata e ragionata, con gli echi dei litigi con Maurizio Vandelli per i diritti di «Auschwitz» e le profezie per il destino funesto delle case discografiche che, già ora, «non esistono più».
Ha rinunciato ai pacchetti da venti con spirito stoico, il Francesco nazionale. «Mi avevano detto che avrei sentito meglio i sapori e gli odori; non è vero, è tutto come prima». Un tempo finiva di mangiare e accendeva una paglia. Adesso ingurgita tutto quello che trova a tavola e nel frigo, per compensare la mancanza delle sigarette «con rabbia fumate» («Canzone per Piero», 1974). Quel che è peggio è che «non ho più scritto nulla». O forse che, quando gli secca la gola, chiede qualcosa da bere e arriva un bicchiere d'acqua, un brivido per chi se lo ricorda col fiasco di vino sempre al fianco.
Consola che la verve affabulatoria è intatta, intrisa di un brio formidabile. E anche la speranza degli adoratori di quello che Umberto Eco ha definito «il più colto dei cantautori italiani» di avere fra le mani un nuovo disco del «giullare da niente, ma indignato». «Non mi hanno chiamato», dice Francesco riferendosi all'Emi, l'etichetta cui è fedele dal lontano 1970. In realtà, si corregge poco dopo, di brani «ne ho due o tre» e «forse ancora un disco lo farò».
Nel vuoto dell'assenza di nicotina, Guccini tiene comunque aperta la possibilità di altre tournée, senza rinunciare a scherzarsi addosso e giocare sulla mole ingigantita dalla frutta inscatolata. «Fare concerti, sì - assicura - questo mi diverte. Però mi preoccupa cosa accadrebbe sul palco, io suono in piedi, potrebbe rompersi sotto il mio peso. Potrei accasciarmi al terzo titolo». L'ultimo lavoro in studio è «Ritratti», risale al 2004 e veniva quattro anni dopo «Stagioni» che a sua volta seguiva «D'amore di morte e di altre sciocchezze» (1996).
La cadenza quadriennale vorrebbe che Guccini sfornasse un cd quest'anno, prospettiva che pare improbabile. Colpa dell'addio al fumo che ha esacerbato una inguaribile indolenza. «Vero, sono pigro - si spiega -. Per questo ho sempre fatto tutto fuorché lavorare inseguendo un orario fisso». Tornato a Pàvana, la cittadina dove la sua famiglia s'era rifugiata durante la guerra, sembra preferire i romanzi e la vita lontano dalla pazza folla. Non ha il telefonino e non usa la posta elettronica, conferma senza un punto di snobismo. «Ma ora che cambio il computer - precisa - potrei cominciare a usare l'email».
A sentirlo, di materiale su cui lavorare ce ne sarebbe. Potrebbe elaborare l'assedio leghista al «Fort Apache» emiliano-romagnolo («La stupidità non ha frontiere»), gli operai che «preferiscono la sicurezza alla falce e martello», l'impossibilità di non essere turisti «a meno di avere il teletrasporto», magari gli «strani» palazzi di Bruxelles o il rapporto difficile fra «un europeismo convinto» e i prezzi cresciuti con la moneta unica. Senza la compagnia di una sigaretta la vita d'artista gli è diventata difficile da un giorno all'altro. Lui se la vende al meglio, del resto è il profeta del «tutto è usuale».
Imbeve tutto di sottile ilarità. Dietro resta l'amarezza della «fine triste della partita», senza neanche il sollievo dell'ennesimo tiro e dell'ispirazione che ti illumina mentre con lo sguardo insegue l'anello di fumo che svanisce nell'aria...ma non nella mente del grande GUCCINI..Ciao!

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